Monza, Nesta: "La Roma mi voleva ma sono della Lazio da sempre. Zeman mi ha cambiato la vita"

L'ex difensore Alessandro Nesta, oggi allenatore del Monza, è stato intervistato da Amazon Prime Video, all'interno della rubrica Fenomeni:
«Abitavamo a Cinecittà, quartiere molto periferico di Roma e molto romanista. Noi eravamo i Nesta, eravamo segnati perché eravamo della Lazio. Io giocavo nel Cinecittà che era affiliata alla Roma. Mi sono venuti a vedere e volevano che andassi. In famiglia eravamo tutti malati della Lazio, da mio padre a mio fratello. Io da sempre sono stato laziale, mi avrebbero menato sennò! La Lazio mi ha preso quando avevo otto anni, ho fatto tutta la trafila fino alla Primavera con Mimmo Caso allenatore».
Prosegue e conclude quindi Nesta:
«Io giocavo attaccante, non arrivavo mai. In Primavera Caso mi ha messo terzino, che era uno scempio perché volevo crossare ma vedevo il fondo e non arrivavo mai (ride, ndr). Poi arriva Zeman che mi dice: "Tu fai il centrale". Mi ha cambiato la vita. In partitella Gascoigne veniva carico, io ero ragazzino, avevo 16 anni. Nella gabbia, dove la palla non esce mai, mi aveva dato due ‘legnate’ e mi aveva fatto volare. C’era Zoff che mi diceva di andare piano. Poi un pallone rimasto lì, io sono andato forte su di lui e gli ho spaccato tutto. I tifosi mi hanno aspettato fuori, mio fratello mi aveva messo dietro e mi ha fatto uscire dal centro sportivo incappucciato. Poi ho avuto un buon rapporto con Gascoigne. Dopo sette mesi è tornato, avevo paura mi menasse! Invece mi ha regalato una canna da pesca con gli ami, anche se non ho mai pescato in vita, e un paio di scarpe. Ha aperto il cofano e quello che ha trovato mi ha dato (ride, ndr)».
Prosegue ancora nei ricordi Nesta:
«Il primo trofeo che ho vinto nella mia vita è la Coppa Italia con la Lazio. Erano trent’anni che non vincevamo niente. Io ero un bambino, segno e battiamo il Milan. Quello è stato il trofeo più bello in assoluto. Lì era già arrivato il presidente Cragnotti che aveva iniziato a investire forte. La finale di Supercoppa Europea? Nessuno aveva capito che eravamo così forti. Ma avevamo uno squadrone, con Veron, Nedved, ecc. Poi con il tempo se ne sono resi conto. Simeone si capiva che sarebbe diventato allenatore. Il Cholo era un martello, quindi sì. Sinisa no, e nemmeno Simone Inzaghi perché era attaccante (ride, ndr). Gli attaccanti pensano a loro stessi, quando sei allenatore invece devi pensare alla squadra».
E ancora:
«Quella contro la Roma è stata la partita più brutta, sia quando ero in campo sia quando sono uscito. Quella partita mi ha cambiato la vita, da lì ho iniziato a mettere qualcosa di diverso quando giocavo. Tutti “bravo bravo”, poi ho preso la mia prima batosta. Li ho capito che il compitino non bastava e che bisognava mettere qualcos’altro per diventare un giocatore. Sapevo già che era il mio ultimo anno, erano otto mesi che non prendevo lo stipendio. Il club aveva imbarcato acqua, aveva tanti debiti e io venivo dal settore giovanile. Tutto quello che era plusvalenza e mi avrebbero venduto, un anno difficile. Pensavo all’Inter all’inizio, al Real Madrid l’anno prima ma avevo detto di no perché io giocavo nella Lazio. Avevo appena vinto lo scudetto, l’anno dopo la Roma e mai 'na gioia. Il problema è che sono andato via male, di questo sono dispiaciuto. Sarei rimasto a vita, come Totti alla Roma. Siamo cresciuti lì, poi negli anni nostri si guadagnava bene. Non avevamo voglia di andare via, stavamo bene a casa nostra. Poi c’è stato il tracollo. È stato un trauma, i primi mesi sono stati durissimi. La gente era molto attaccata a me, è stata una delusione per loro. Un po’ è cambiato anche il rapporto con i tifosi. Il sabato mi avevano convocato in sede per dirmi che me ne dovevo andare, l’ho presa male. Ero andato in difficoltà, mi sono pentito tanto di essere andato via al primo tempo. Non lo farei mai più, mi butterei nel fuoco. Per questo ho tirato un calcio di rigore alla finale di Champions League. Ero deluso da me stesso, ho fatto il ragazzino. Tutti a dirmi devi andare via, partita fatta male e ho pensato "sai che c’è, esco". Me ne sono pentito. Mi ha fatto crescere, m’ha fatto bene».
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