Gratton racconta la genesi rivoluzionaria del lupetto giallorosso
Fonte: asroma.it
L'AS Roma, sul proprio sito ufficiale asroma.it, ha intervistato Piero Gratton, noto designer italiano, nonché ideatore e disegnatore del lupetto giallorosso. "Questa è una storia che viene da lontano, ma il lupetto è un logo attualissimo, praticamente inaffondabile - racconta Gratton -. Iniziò tutto dal mio incontro con Gilberto Viti agli Europei di Atletica di Roma 1974. Io lavoravo all’immagine, mentre lui era delegato alla parte organizzativa. Viti, che per moltissimo tempo è stato l’anima della Roma, vide che quei campionati erano strutturati dal punto di vista dell’immagine. Tutt’altra cosa rispetto alle squadre di calcio, che all’epoca utilizzavano sistemi molto rudimentali".
Il primo cambiamento epocale partì dal formato degli abbonamenti: "In quegli anni erano come i biglietti del tram ai tempi di Aldo Fabrizi e all’ingresso venivano obliterati da una specie di tranviere. Iniziammo proprio da lì, dagli abbonamenti. Li trasformammo in carnet inserendo nelle matrici delle parti riservate agli sponsor; roba piccola, s’intende, ma i tifosi potevano avere degli sconti. Da lì iniziò un’operazione di immagine ben coordinata, che andava dall’abbonamento al biglietto da visita, fino alla carta intestata passando per la segnaletica, le maglie, il logo del lupetto ed altri due marchi, una sorta di tratto giallorosso ed un ‘R’ che ricorda una freccia ed un cuore. Fu un’operazione complessiva".
Il vero salto di qualità, a livello d'immagine, per la Roma, arrivò in un momento di necessità, come spesso accade: "Era un momento in cui c’erano pochi soldi ed Anzalone (Gaetano, massimo dirigente del Club dal 1971 al 1979; nda) ne aveva ancora meno. Se si voleva fare un salto di qualità occorreva comprare giocatori, così il presidente pregò Viti di farsi venire qualche idea - così mentra Anzalone volava negli States per studiare il marketing a stelle e strisce, ciò che cercava si trovava già a Roma, precisamente nel cassetto di Viti e Gratton -. Il problema era che il logo dell’epoca non era più proteggibile perché non era proprietà della Roma. Non c’erano gli estremi - racconta Gratton - bisognava fare un nuovo logo, proteggerlo per tutte le classi merceologiche e poi metterlo a disposizione di chi avesse intenzione di investire su abbigliamento sportivo, bambole, profumi. Parliamo di un’epoca in cui la ‘legge Olimpica’ impediva di apporre marchi sulle maglie da gioco, si poteva soltanto inserire una pecetta di ‘dimensioni olimpiche’ – vale a dire ridottissime – per indicare il produttore delle divise”.
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