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Riise, superatleti sempre più a rischio

di Emanuele Melfi
Fonte: Ansa

Molti traumi, come nel caso del terzino norvegese Riise, finiscono per essere classificati come commozioni cerebrali. «Significa che il cervello ha subito un impatto, sbattendo all'interno del cranio», spiega Stocchi. «Questo - aggiunge - porta a uno stato di incoscienza, e generalmente, se non ci sono stati sanguinamenti o lesioni strutturali, questo tipo di infortuni non ha conseguenze negative sulla salute futura del paziente». C'è però bisogno di un periodo di riposo. «Il trauma cranico crea uno stato di sofferenza del tessuto encefalico e, nei giorni successivi - sottolinea l'esperto - può generare disturbi di vario genere, tipo: vertigini, cefalee, instabilità, ansia». Ecco perchè è necessario un periodo di riposo. «Tanto più se il paziente è un atleta che può andare incontro a nuovi colpi. Come nel caso del calciatore, che non solo è esposto al rischio di scontri con gli avversari, ma è chiamato a colpire il pallone con la testa più volte in una partita. In linea di massima, per rivederlo in campo ci vogliono almeno tre-quattro settimane. Anche se già dopo una settimana-dieci giorni, se non sopraggiungono complicazioni, può tornare ad allenarsi. Evitando però scontri e colpi di testa».


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