Eusebio Di Francesco, un tedesco d'Abruzzo a Roma
Fonte: Redazione Vocegiallorossa - Gabriele Chiocchio
La Roma riparte da Eusebio Di Francesco. È lui l’uomo scelto dalla dirigenza giallorossa per rimpiazzare Luciano Spalletti; curiosamente, i due hanno lavorato insieme nel 2005/2006, quando il toscano era alla prima stagione da tecnico giallorosso e l’abruzzese era il team manager. Val Di Sangro, Lanciano, Pescara, Lecce e Sassuolo le squadre gestite prima di questo grande incarico.
IL SECONDO SALTO - Il passaggio da Sassuolo a Roma non è però il primo grande salto compiuto da Di Francesco. A dire il vero, non c’è stato bisogno di un cambio di squadra per far salire di livello il tecnico: il cambio di marcia avvenne nel 2014, quando tornò dopo l’esonero e la sostituzione con Malesani. In un'intervista a Paolo Condò dicharò che per tornare pose dei paletti, il primo dei quale quello di non avere ingerenze esterne: da lì è iniziata la risalita con la salvezza ottenuta, un gioco sempre più convincente e la storica qualificazione in Europa League del 2016.
ZEMANIANO? NO, DIFRANCESCHIANO - Il Di Francesco che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni ha utilizzato prevalentemente il 4-3-3 con attitudine certamente offensiva: terzini che spingono, un centrocampo con un regista e due intermedi che si inseriscono, esterni offensivi pronti a tagliare verso il centro. Sembra la descrizione di una squadra di Zeman, da cui ha certamente tratto molto di quanto ha fatto vedere in neroverde: “Ha avuto la maggiore influenza, ma non lo sciommiotto: io sono difranceschiano, ho trovato il mio modo di pormi” Il 4-3-3 non è stato un dogma, ma una scelta basata sulle risorse a disposizione: “faccio il 4-3-3 perché ho i giocatori adatti”. Nella stagione appena conclusasi, infatti, il modulo zemaniano non è stato l’unico utilizzato dal Sassuolo, che in alcune gare ha ruotato il triangolo di centrocampo, puntando il vertice verso l’alto e disegnando così un 4-2-3-1, e in altre ha addirittura scelto la difesa a 5, per provare a tamponare un’emorragia difensiva quasi naturale per un certo tipo di approccio, comunque cucito sull’avversario di turno: contro la Roma, ad esempio, i due esterni offensivi - Politano e Berardi - furono schierati a piede corrispondente e non invertito, per aumentare la pericolosità in ampiezza. Dal boemo, Di Francesco ha anche preso qualcosa della parte atletica, “ma non i gradoni, perché non fa parte delle mie competenze”. Ad esempio, il test sui 1000 metri è un mezzo utilizzato per capire il carattere dei suoi giocatori, specialmente di attaccanti e difensori centrali che, rispetto ai centrocampisti, a volte si risparmiano un po’ nella corsa.
PSICOLOGO E GESTORE - Aspetto atletico dunque fondamentale, ma non il solo: specie a Roma, bisogna essere degli ottimi psicologi per ottenere il massimo dai propri calciatori e non essere fagocitati dall’ambiente. “Mi lego agli ambienti e alle persone, non riesco a non avere sentimento. Per poter trasmettere devi sentire, è il giocatore che deve entrare nella mentalità, è quel che faccio quando entro in un contesto nuovo”: una catena di cui lo stesso Di Francesco sarà il primo anello e che dovrà coinvolgere tutti i nuovi acquisti da incastonare in un sistema ben preciso, un gruppo da gestire nei titolari e nelle riserve, ruoli entrambi interpretati nella sua esperienza da calciatore nella Roma, fatto che non può che aiutarlo nel compito di tenere tutti sul pezzo in una stagione in cui ci sarà bisogno di tutti, visto l’impegno della Champions League e una Coppa Italia che resta sempre la via più breve per provare ad alzare un trofeo. Nell’anno dello scudetto 2000-2001 Di Francesco scese infatti in campo una sola volta da titolare, ma questo non gli ha impedito di sentirsi importante: “Mi sono sentito protagonista, c'erano diversi uomini fondamentali. Eravamo tutti importanti, mi piace ricordarlo e trasmetterlo”.
L’AMBIENTE - Da esso chi c’era prima è stato rigettato, da esso dovrà difendersi Di Francesco. Il vantaggio è quello di conoscerlo già, avendolo già vissuto da allenatore e avendo già vissuto il passaggio dalla provincia alla grande città, quando nel 1997 si trasferì nella Capitale da Piacenza: “A Roma non ho trovato nessuna differenza con la provincia”. Il banco di prova saranno ovviamente i fatti, ma più che subirlo Di Francesco quell’ambiente vorrebbe cambiarlo, non solo per quanto riguarda la Roma ma tutto il calcio italiano: "Non vado dove c'è confusione. Se devo essere sincero in Italia tante cose mi infastidiscono, siamo obsoleti, c’è poca voglia di crescere. Prendo ad esempio la Germania, ha legato la scuola allo sport. Io un po' tedesco? In alcuni sensi sì”. Un tedesco d’Abruzzo a Roma, dove si spera ci sia meno confusione di quella spesso disegnata.