Spagnoli e Serie A, la Roma spera di sfatare il tabù "bidoni"
Lo spagnolo è diventata ormai la lingua madre del calcio europeo. Se si cercano premi basta guardare al di là del Mediterraneo e se ne trovano in quantità. La nazionale spagnola è campione in carica sia d’Europa che del Mondo, e il mese scorso si è aggiudicata anche il titolo di miglior Under-21 del Vecchio Continente. A livello di club c’è ben poco da discutere, Barcellona e Real Madrid non hanno rivali all’altezza in giro per il mondo, e i migliori giocatori in circolazione militano tra le loro fila. Basti pensare agli ultimi due vincitori del Pallone d’Oro, Messi e Cristiano Ronaldo, o la magra figura fatta dalla squadra campione d’Inghilterra, il Manchester United, contro la corazzata di Pep Guardiola nella finale di Champions League, per rendersi conto che gli ispanici del calcio hanno colonizzato il resto d’Europa.
Resasi conto di questo trend, la nuova dirigenza della Roma ha pensato che puntare sul modello spagnolo per tornare a vincere fosse l’idea migliore, e così è iniziata la “Revoluciòn”. Il primo passo è stato l’allenatore, Luis Enrique, poca esperienza ma grande spirito d’innovazione. Proprio il tecnico asturiano ha voluto poi che il club puntasse molto su uno dei giovani più promettenti del calcio attuale, Bojan Krkic, attaccante duttile e rapido che ha incantato il Barcellona prima di essere messo in disparte da fenomeni già consacrati. Sempre Luis Enrique ha inoltre insistito perché si arrivasse all’acquisto del giovane terzino, ormai ex Sporting Gijòn, Josè Angel valdes che ha fatto tanto bene in Spagna lo scorso anno da attirare l’attenzione anche del Barcellona.
Guardando al presente, ed in prospettiva futura, i tifosi romanisti possono essere fiduciosi, le caratteristiche ci sono, bisogna solo riuscire a sfruttarle.
Buttando un'occhiata però al passato, le statistiche non sorridono più così tanto. Non si può infatti dire che i calciatori spagnoli abbiano fatto vedere cose stupefacenti nel nostro campionato, anzi. Non sono molti quelli che possono vantare un’esperienza nella Serie A, ma quelli che potrebbero grazie alla militanza in squadre italiane, non se ne possono di certo vantare, soprattutto se facciamo riferimento alla storia più recente. Sono state diverse infatti le meteore arrivate dalla Spagna in qualità di fenomeni e ripartiti dall’Italia sotto l’appellativo di “brocchi”. Uno su tutti è quello che per antonomasia nella Capitale viene definito il “bidone”, che ancora fa sorridere il popolo romanista e rattrista i cugini laziali. Si parla appunto di Gaizka Zabala Mendieta, ex capitano e leader indiscusso del Valencia di Cuper che arrivò per due anni di seguito in finale di Champions League, e che arrivò alla Lazio come erede di Pavel Nedved, per la stratosferica cifra di 89 miliardi di lire. Come sostituto di Nedved risultò decisamente inadatto, e come calciatore di Serie A, se possibile, ancora meno. Collezionò 22 presenze in cui venne spesso sostituito a causa di prestazioni inguardabili, non segnando neanche un gol. Firmò un quinquennale, ma dopo un anno fu rimandato in patria, al Barcellona, ma ormai segnato dal calcio italiano non si ritrovò mai nulla di quel giocatore che aveva incantato il mondo intero al Mestalla, neanche nelle esperienze che seguirono in Premier League.
Sempre i cugini biancocelesti ricorderanno un altro giocatore, che adesso fa parte dello staff di Luis Enrique, e che i romanisti si augurano possa riuscire meglio in qualità di non-calciatore. Ivan De La Pena arrivò nel 1998 in Italia dopo essersi messo in luce nel Barcellona, ma di lui si ricorda solo l’incredibile lentezza che contrassegnava ogni suo movimento in mezzo al campo. Arrivato in Italia come “Piccolo Buddha” a causa della testa pelata e della presunta genialità che lo aveva fatto conoscere ai livelli massimi del calcio, se ne andò tra l’indifferenza più totale, approdando di nuovo in Spagna, all’Espanyol dove ebbero almeno il buon senso di affibiargli un soprannome che non aveva nulla a che fare con il suo modo di giocare a calcio, “El Pelat”. Anche lui tornato in Spagna non si è mai ripreso dallo shock italiano.
Allontanandosi dalla sponda laziale, ma neanche troppo, anche nell’archivio dell’Inter si trovano informazioni relative ad uno spagnolo che non ha lasciato troppo il segno. Si tratta di Francisco Farinòs, anche lui figlio del Valencia di Cuper che lo volle con sé a Milano, ma che in tre anni di casacca nerazzurra non è mai riuscito ad incidere positivamente. L’immagine che probabilmente i tifosi interisti ricordano meglio di questo giocatore è quella relativa ad un suo improbabile posizionamento tra i pali dopo l’espulsione di Toldo proprio contro la sua ex squadra in Champions League.
Restando a Milano, ma spostandosi sulla sponda rossonera, si possono poi trovare ben due giocatori spagnoli che verranno ricordati più per le occasioni sprecate che per i gol segnati. Josè Mari e Javi Moreno non si possono infatti definire una coppia di attaccanti particolarmente prolifici. Il primo arrivò al Milan nel ’99 per una cifra pari a 40 miliardi di lire e si ritrovò a fare la riserva di Bierhoff e Shevchenko, senza mai far sentire il proprio fiato sul collo dei colleghi siglando solo 5 reti in tre anni. Javi Moreno arrivò anche lui dopo una stagione esaltante in terra madre, ma con due soli gol in una stagione venne rispedito in Spagna, all’Atletico Madrid, senza troppi convenevoli.
Tra i nomi di spagnoli che in Serie A non hanno brillato, possiamo ricordare ancora Javier Portillo, che arrivò alla Fiorentina dal Real Madrid dove sembrava potesse diventare l’erede di Raul, ma che durò giusto metà stagione prima di essere rispedito al mittente in Gennaio, Pep Guardiola, perfetto metronomo di centrocampo al Barcellona che al Brescia, e nella mini esperienza alla Roma condita da sole 4 presenze, non dimostrò mai di valere la sua fama. A sua discolpa si può però tenere in conto però l’avvio verso la fine della carriera che in parte lo giustifica, così come la squalifica, poi riconosciuta ingiusta, per uso di sostanze dopanti.
Per trovare uno spagnolo che in Italia ha reso, e anche tanto, bisogna fare un lungo salto nel passato fino ad arrivare a Luisito Suarez negli anni ’60, quando incantò i tifosi dell’Inter regalandogli tre Scudetti prima di andare a terminare la carriera nella Sampdoria.
Sperando che a quarant’anni di distanza, qualche altro spagnolo riesca a far breccia nei cuori dei tifosi italiani, romanisti in questo caso, resta solo da augurare “buena suerte” a Luis Enrique e i suoi ragazzi che hanno tutte le carte in regola per dimostrare il proprio valore in un campionato diverso da ciò a cui sono abituati e difficile come quello italiano, ma che ha sempre valorizzato chi al calcio ci sa davvero giocare.