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Un anno di Fonseca, tra tattica e comunicazione

di Danilo Budite
Fonte: Redazione Vocegiallorossa - Danilo Budite

Esattamente un anno fa veniva ufficializzato l'arrivo di Paulo Fonseca sulla panchina della Roma. Al termine di una stagione difficile, con l'esonero di Di Francesco e l'avvento di Ranieri, culminata con l'addio di De Rossi e il mancato accesso in Champions e a dodici mesi di distanza dalla storica qualificazione alle semifinali della massima competizione europea, il tecnico portoghese è stato chiamato a essere l'ennesimo tecnico della svolta. Una nuova rivoluzione, tattica e mentale, il leitmotiv della gestione americana, era ciò che ci si aspettava, e si richiedeva, all'ex allenatore dello Shakhtar. A un anno di distanza dal suo primo giorno in giallorosso, Fonseca ancora non ha terminato la stagione dell'iniziazione romana, ma è comunque possibile stilare un primo bilancio del suo operato.

IL TATTICO - Il primo impatto aveva un po' fatto tremare i tifosi giallorossi. I proclami del portoghese di un calcio offensivo, mai rinunciatario, che non si sarebbe adattato all'avversario ma che avrebbe mantenuto, sempre e comunque, la propria identità, hanno impattato con i tre gol incassati dal Genoa nell'esordio casalingo. Al netto delle tre reti realizzate, la squadra lunga, la difesa sfilacciata, il baricentro alto e lo scollamento della coppia difensiva centrale aveva messo apprensione, e non poca. La convinzione di non rinunciare al proprio credo tattico però è stata, intelligentemente, messa parzialmente da parte da Fonseca subito nel derby successivo, dove la Roma ha mostrato una maggiore attenzione difensiva, a discapito però di un'inedita inefficacia offensiva.

Il primo grande problema, esemplificato dalle prime due uscite stagionali, è stato per Fonseca il riuscire a trovare un equilibrio tra le due fasi. La difesa, che preoccupava maggiormente, è diventata il chiodo su cui martellare per il portoghese, e i risultati sono presto arrivati. La Roma ha trovato una nuova solidità difensiva, favorita anche dall'alchimia creatasi tra Smalling e Mancini. La paura di un integralismo esasperato, subito più di una volta dalle parti di Roma, è stata immediatamente esorcizzata. Si è parlato di una italianizzazione di Fonseca, ma la realtà racconta semplicemente dell'intelligenza tattica di un tecnico preparato, che ha saputo adattare le proprie idee ai giocatori a disposizione e al contesto del campionato. Fonseca non ha rinunciato alla difesa alta, alla costruzione, al possesso palla, ma ha semplicemente filtrato queste idee rendendole compatibili con alcune necessità intrinseche del campionato italiano e l'ha fatto, principalmente, lavorando su un altro reparto, il centrocampo.

L'equilibrio di squadra è derivato dal lavoro nel cuore del campo. Fonseca ha curato nei dettagli il lavoro della coppia di mediani davanti alla difesa, incentrando il gioco soprattutto su un movimento coordinato che vedeva uno dei due centrocampisti, principalmente Diawara o Cristante, abbassarsi in mezzo ai centrali o spostarsi di lato per aprire il campo poi alla discesa del terzino opposto e all'abbassamento del trequartista. Un movimento che ha fatto da metronomo alla squadra, che si muoveva come un mosaico che, con la giusta tessera messa al suo posto, riesce ad assumere la propria forma ideale. Grazie a questa stabilità, le idee di Fonseca di costruzione dal basso, possesso palla e baricentro alto si sono potute coniugare a una stabilità duratura e coordinata.

Infine, la tanto conclamata fase offensiva. Ci si aspettano i fuochi d'artificio, in realtà le polveri sono state spesso bagnate. Come tutte le grandi, la Roma si è trovata spesso di fronte a difese da scardinare, chiuse nel proprio guscio. In questo senso il possesso palla auspicato da Fonseca ha avuto un'efficacia solo se abbinato a una giusta dose di verticalità. Quando la Roma è riuscita a imbucare, soprattutto centralmente, l'attacco si è vivificato, la prova più lampante è il match di Udine, dove il possesso palla inteso in maniera verticale ha portato la Roma a esibire un gioco a tratti davvero spumeggiante. Spesso però è mancata questa verticalità, il possesso palla si è appiattito, con la conseguenza che Dzeko, il trequartista e spesso anche gli esterni, dovevano scendere per giocare il pallone, latitando in zona offensiva.

Se a inizio stagione si parlava di un tecnico spregiudicato, irremovibile dalle sue idee, Fonseca ha dimostrato di non essere niente di tutto questo. Ha scovato il punto debole della squadra, la fase difensiva, ci ha lavorato ossessivamente e l'ha fatta diventare addirittura, nel momento migliore, il punto di forza. Quando ha potuto contare su tutti i giocatori più congeniali al suo gioco, il tecnico è riuscito a rendere la Roma anche una squadra offensivamente efficace, ma capace sempre di mantenere il proprio equilibrio. Tutto ciò si è apparentemente rotto con l'avvento del 2020, maledetto sin dalle sue prime battute. Ma lì pare molto complesso capire quanto ci sia di tattico e quanto di psicologico nel tracollo della Roma. Guardando invece la squadra nel suo percorso da Roma-Genoa a Fiorentina-Roma, ultima partita del 2019, è impossibile non notare il percorso di crescita che la mano di Fonseca ha sapientemente guidato, all'insegna degli accorgimenti tattici sopracitati. 

IL COMUNICATORE - L'altro lato della medaglia per un allenatore, soprattutto in una grande piazza come Roma, è la comunicazione. Insieme alle abilità tattiche, le capacità retoriche plasmano un tecnico, che deve saper dominare entrambe le sfere d'azione, riuscendo a bilanciarle. In tal senso il primo impatto è stato molto positivo. Arrivato a Roma con qualche dubbio, ma soprattutto tanta curiosità, Fonseca ha saputo subito attirare le simpatie di molti tifosi, decisamente attratti dal savoir-faire del tecnico portoghese. Effettivamente il mister ha subito messo in mostra la sua eleganza, ma anche la sua decisione. I proclami di cui sopra si parlava, la fede cieca nelle proprie idee, se dal lato tattico hanno creato qualche apprensione, da quello comunicativo hanno restituito l'immagine di un allenatore con le idee chiare e col polso saldo. Doti che Fonseca ha dimostrato subito, sottolineando come la fede nelle sue idee restava cieca, ma le idee diventano vincenti se si amalgamano col contesto in cui agiscono. Mai un passo indietro dal punto di vista formale, anche se poi effettivamente quel gioco offensivo vagheggiato in estate è stato accantonato, ma fondamentalmente il cambiamento è passato in secondo piano grazie a una sapienza retorica non indifferente.

La chiarezza è stata il punto di forza del Fonseca comunicatore. Dal punto di vista relazionale, il momento più difficile dell'esperienza giallorossa del mister è stato sicuramente il caso Florenzi. Una situazione che è diventata via via più spinosa, ma che in realtà, com'è poi emerso, affliggeva più a livello potenziale che effettivo. Il portoghese si è sempre detto sereno, ha sempre motivato le sue scelte, e soprattutto ha sempre mantenuto un atteggiamento coerente, un comportamento apprezzato poi dallo stesso giocatore, che nelle interviste durante il lockdown ha spesso tessuto le lodi del tecnico, nonostante la sua esperienza giallorossa sia, in pratica, al capolinea. Una prova della capacità di Fonseca di relazionarsi con i calciatori anche nelle situazioni più complesse.

Il rapporto coi giocatori è stato un altro punto di forza, Fonseca è riuscito spesso ad arrivare al cuore delle volontà dei suoi giocatori, è riuscito a toccare le giuste corde, non arrendendosi davanti a nessuna difficoltà. La svolta in tal senso è stata probabilmente la permanenza di Dzeko, che Fonseca ha sempre considerato centrale nel suo progetto, anche quando si dava praticamente per certo il suo addio. Vedere uno come Dzeko rimanere a Roma, convinto dal lavoro di Fonseca, ha sicuramente dato una carica in più ai compagni, che hanno colto il segnale, si sono resi conto di poter instaurare un rapporto proficuo col mister.

Si è sempre dimostrato fermo e deciso davanti alle difficoltà, e questa prima stagione in giallorosso ne ha regalate di intemperie al tecnico portoghese. Anche con la squadra falcidiata dagli infortuni, Fonseca non ha mai concessi alibi alla propria squadra, anzi ha saputo dare una carica in più, attingendo a piene mani nella propria rosa, stimolando anche chi era ormai ai margini della squadra. Il portoghese, un esempio su tutti, ha saputo regalare dei lampi del vero Pastore, praticamente mai visto a Roma. Come se avesse azionato la macchina del tempo soltanto con la motivazione, facendo sentire importante un giocatore che non lo era da tanto. E così anche con gli altri. Fonseca ha sempre premiato l'impegno, facendo spesso anche scelte forti, ma sempre coerenti con la sua visione d'insieme. Il non dare alibi alla squadra, quando sarebbe stato facilissimo trovarli, ha sicuramente aiutato a plasmare una squadra sicura dei propri mezzi.

Tutto, sempre, fino al tracollo del 2020, quando anche Fonseca sembrava aver perso la bussola, forse incapace di realizzare come fosse possibile che la sua squadra fosse quella, convinto magari di star vivendo solo un brutto sogno, un romanzo distopico troppo terrificante per corrispondere alla realtà. Anche qui però, nel punto più basso della sua squadra, il portoghese è poi riuscito a scuotere la squadra, facendo appello più sul carattere che sul gioco. La qualificazione, sporca e sudata, agli ottavi di Europa League superando il Gent, ha dato la giusta scintilla, poi il COVID-19 ha fermato tutto proprio nel momento della verità.

PER ASPERA AD ASTRA - Verso le stelle attraverso le difficoltà. Questa traduzione rozza, che non rende giustizia all'armonia del detto latino, esemplifica però al meglio il primo anno di Fonseca in giallorosso. Il mister ha superato le prime, grandi, difficoltà, compiendo un percorso di crescita con la squadra, bruscamente interrotto dal sopraggiungere di nuove difficoltà. Poi, nel momento della ripresa, nuove avversità, stavolta oggettive, sono sopraggiunte a interrompere ancora il percorso della Roma. Ora i capitolini si stanno preparando a concludere la stagione e Fonseca avrà l'obiettivo di ottenere una difficile qualificazione in Champions e di andare avanti in Europa League. Sono molte le difficoltà, ma il portoghese ha dimostrato di saperle superare, per puntare alle stelle.


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