Alla pari di Messi, sconfitti da se stessi
Fonte: L'editoriale di Luca d'Alessandro
Alla fine conta il risultato: 4-1. Questo si legge sul tabellone del Camp Nou. Il Barcellona passerà il turno, era ampiamente favorito, tutto scontato. La partita ha raccontato altro. Parliamo di una Roma che ha dovuto affrontare ambiente, Messi, arbitro e infine se stessa. Già, perché se dopo aver superato immediatamente l'impatto dei 100.000 spettatori presenti, i giallorossi hanno trovato quel coraggio di osare che non ha avuto Makkelie nel fischiare prima un rigore netto a Dzeko, poi trasformandone uno su Pellegrini in punizione dal limite (e ancora critichiamo in Serie A il VAR), si è dovuta arrendere agli autogol (surreale parlare al plurale) di De Rossi e Manolas. Eppure a inizio secondo tempo la grande chance l'ha avuta Perotti che di testa ha messo a lato. Lo sbandamento è fisiologico a questo punto, alzare bandiera bianca no. Parlare di giustizia nel calcio è qualcosa di opinabile. È invece grottesco come la Roma si ritrovi 3-0 sotto senza "neanche rendersene conto" (come ha commentato Di Francesco a fine gara). Chiamiamolo fattore Champions League, un qualcosa che ai giallorossi purtroppo manca. Da qui in poi inizia un'altra partita, una partita basata sull'orgoglio. Ci provano Defrel, Perotti, Kolarov su punizione. Il Barcellona se attaccato soffre e infine cade sotto i colpi di Dzeko: 3-1. Si accende la speranza della squadra, dei tifosi, si accendono i rilfettori dell'Olimpico sognando una remuntada. Una speranza che dura 7 minuti, il tempo del "terzo autogol" (così lo ha definito Dzeko), alias lo stop/passaggio di Gonalons per Suarez: 4-1. Una partita talmente assurda che diventa quasi normale se rapportata alla storia della Roma. Se è successo di tutto, pro Barcellona, potrà succedere di tutto anche all'Olimpico. Se si aspettavano le magie di Messi & Co. resta il rammarico di aver gettato la possibilità di potersi giocare le semifinali a pieno nella gara di ritorno.