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Bandiere ammainate

di Alessandro Carducci

“O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo”. La celebre frase pronunciata da Aaron Eckhart ne Il Cavaliere Oscuro sembra quasi una maledizione (lo stesso film fu una maledizione per alcuni degli interpreti) per le bandiere del calcio.

Le frecciatine di Spalletti a Totti, la bordata del numero dieci giallorosso al Tg1, una tifoseria che improvvisamente si ritrova spaccata. Si è formata una crepa lunga e profonda, una ferita che sarà difficile da rimarginare. Chi dà ragione al tecnico toscano e insulta Totti, un uomo che ha fatto la storia e la gloria di questo club, il più grande giocatore della storia giallorossa, uno dei più grandi del calcio italiano, un'icona a livello mondiale. Nel dire certe cose alla vigilia della gara contro il Palermo, nel dirle pubblicamente ha evidentemente sbagliato ma questo conta ormai relativamente perché se tempo fa qualcuno avesse detto che Totti sarebbe stato cacciato dal ritiro e rispedito a casa prima di una partita sarebbe stato preso per matto. Hanno sbagliato tutti e chi ci sta rimettendo è la Roma.

Ci sono generazioni intere di ragazzi cresciuti a pane e Francesco Totti, un giocatore capace fino allo scorso anno (all'età di 38 anni) di caricarsi ancora la squadra sulle spalle.

Una storia d'amore immensa, piena di passione, di litigi ma soprattutto di affetto. Quando le storie d'amore finiscono non è quasi mai un processo indolore. C'è sempre uno spargimento di sangue (come direbbe Sabatini). C'è ancora tempo e modo di ricucire il rapporto anche perché non può, e non deve, finire così la storia d'amore tra Totti e la città, la società, i tifosi.

Non sarebbe, però, la prima bandiera a essere ammainata senza onore e senza gloria.

MALDINI – È il 24 maggio del 2009 e a San Siro il Milan ospita proprio la Roma. La giornata sarà però ricordata come l'ultima apparizione di Paolo Maldini nella Scala del calcio. A fine partita, la bandiera milanista farà il giro di campo applaudito dai suoi tifosi e anche da quelli della Roma, ma non dalla Curva Sud milanista, a causa di alcuni precedenti attriti. I fischi a un gigante del calcio come Maldini faranno il giro del mondo.

DEL PIERO - Tre anni più tardi, il 13 maggio 2012, è Alessandro Del Piero a dire addio al suo pubblico. Si gioca Juventus-Atalanta e allo Juventus Stadium tutto lo stadio si commuove e rende omaggio al suo campione, che trova anche il gol con un destro all'angolino. Nella ripresa, Antonio Conte lo sostituisce concedendogli la standing ovation finale ma l'addio dell'attaccante juventuno non fu tutto rose e fiori: nell'ottobre dell'anno precedente, Andrea Agnelli approfittò di un'Assemblea degli Azionisti per annunciare, a sorpresa, che quella in corso sarebbe stata l'ultima stagione di Del Piero con la maglia della Juventus. L'annuncio, così improvviso, fu giudicato come un colpo basso e Pinturicchio fu liquidato senza troppi fronzoli perché, ormai, all'età di 37 anni, non avrebbe più potuto dare un contributo alla causa bianconera. Almeno questo fu il pensiero della società, e Del Piero sarebbe andato in Australia per continuare a correre e a divertirsi dietro a un pallone.

ZANETTI – È forse l'unica favola in Italia finita bene, senza scossoni. Nel 2014 il campione argentino si rende conto di non avere più lo smalto degli anni precedenti. Walter Mazzarri lo tiene diverse volte in panchina e Zanetti accetta la decisione senza discutere ma, in cuor suo, si interroga sul suo futuro. L'ultima sua partita sarà contro la Lazio: Mazzarri lo spedisce in campo nella ripresa al posto di Jonathan e, a fine gara, tutto San Siro si stringe attorno a lui, dopo che la squadra si era riscaldata nel pre gara indossando una maglia con il numero 4, il suo. A fine stagione diventa vice presidente del club nerazzurro.

RAUL – Ha fatto la storia del calcio e del suo Real Madrid. Fu costretto a continuare a giocare in Germania, allo Schalke 04, anche perché a Madrid era il momento di lasciare definitivamente spazio a Cristiano Ronaldo che, proprio dopo l'addio di Raul, riuscì a riprendersi il suo numero di maglia, il 7. Qualche anno dopo, Raul dichiarerà: "Totti è un giocatore magnifico, tra i migliori della sua generazioni. Chi non vorrebbe giocare insieme a lui?".

GERRARD – A 35 anni capisce che è ora di lasciare il suo Liverpool, la sua squadra, il suo stadio, i suoi tifosi. La Kop si inchina di fronte al proprio idolo e l'inglese continuerà a giocare in America: “Il motivo per cui rispetto Totti così tanto – le sue parole - è perché a Roma tutto il peso grava sulle sue spalle. Totti è il re di Roma. Avendo giocato in una grande squadra come il Liverpool, conosco bene le responsabilità che ti devi assumere e la pressione di dover sempre rendere al meglio e portare a casa i risultati. Ci sono passato anche io, l’ho vissuto sulla mia pelle. A Roma Totti è un idolo e questo comporta inevitabilmente una serie di pressioni. Quindi ho moltissimo rispetto per lui, per la sua continuità nelle prestazioni e per la sua fedeltà alla maglia giallorossa. In Italia è una leggenda. Credo che solo osservandolo da vicino uno riesca a comprendere quanto sia forte con la palla tra i piedi e nei movimenti tra le linee. Mi ricordo che una volta avevo il compito di marcarlo per poterlo limitare ma lui riusciva sempre a sfuggirmi. Prendeva posizione in maniera molto intelligente, da vero numero 10, e sembrava che la palla fosse incollata ai suoi scarpini. Era molto abile e giocava la palla veramente bene. Per non parlare della sua visione di gioco, riusciva a vedere cose in campo che gli altri non riuscivano nemmeno a percepire”.

GIGGS – Lascia il calcio alla bellezza di 40 anni. Dopo l'esonero di Moyes ad aprile, ricopre il ruolo di allenatore-giocatore fino al termine della stagione ed entra in campo, contro l'Hull City, negli ultimi venti minuti per salutare i suoi tifosi, prima del ritiro a fine stagione. Rimarrà comunque nell'organigramma del club.


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