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Chi l'avrebbe mai detto?

di Gabriele Chiocchio
Fonte: L'editoriale di Gabriele Chiocchio

Il minuto 53 di Bologna-Roma sembrava essere diventato il punto più alto di questa prima fase dell’avventura di Fonseca in giallorosso: da lì in poi solo discesa, con un rigore che non c’è (perché non c’è, e quando non c’è è giusto dirlo) fischiato e realizzato e poi un momento di grave sbandamento, con una squadra disunita e, quindi, esposta alle folate di vento rossoblu neanche fossero dei tornado. Un po’ come era accaduto 364 giorni prima a una Roma di certo non in ascesa come quella del Di Francesco II, ma stesa senza appello al primo episodio negativo, quel gol di Mattiello cui seguì nel secondo tempo il raddoppio di Federico Santander segnato in una metà campo percorsa in solitaria con ancora più di mezz’ora da giocare. Una Roma disunita, dicevamo, e questo è un aspetto comunque da migliorare, e in fretta: di episodi negativi - giusti o ingiusti che siano - ce ne saranno tanti e tanti ancora, ma quello che differenzia le grandi squadre dalle altre è saper andare oltre le difficoltà, farsele scivolare addosso il prima possibile e ricominciare a macinare. O, in questo caso, cominciare a farlo, perché anche prima del fattaccio i giallorossi non erano stati brillanti come nei momenti migliori delle due gare precedenti. Sarà stata la stanchezza di alcuni elementi e il mancato apporto di altri - come, ad esempio, Henrikh Mkhitaryan, incapace di produrre una singola giocata utile in tutta la gara - ma è mancato sempre qualcosa, sia come movimenti che tecnicamente, per impensierire Skorupski come si era fatto con i vari Consigli e Mert. Ci sono stati però anche singoli decisivi, come l’ormai solito Kolarov e il già solito Veretout, in campo ancora per oltre 90 minuti e in grado, dopo oltre 90 minuti di gioco, di avviare l’azione del 2-1, senza contare Edin Džeko, a segno in 4 partite su 5 e con un rigore guadagnato in quella in cui non ha timbrato. Singoli comunque in grado di intepretare diverse variazioni dello spartito: la Roma di Bologna è stata diversa da quella vista contro l’Istanbul Basaksehir, a sua volta differente da quella di Roma-Sassuolo, a sua volta cambiata rispetto a quella di Lazio-Roma. Paulo Fonseca torna quindi dall’Emilia con tre punti e due meriti: quello di aver smentito la credenza di un suo integralismo sfacciato e quello di non aver fatto mollare la sua squadra quando tutto sembrava apparecchiato perché questo accadesse. Chi l’avrebbe mai detto?


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