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Cosa resterà

di Alessandro Carducci
Fonte: L'editoriale di Alessandro Carducci

“Cosa resterà di questi anni ottanta? Afferrati e già scivolati via. Cosa resterà? E la radio canta una verità dentro una bugia. Anni veri di pubblicità, ma che cosa resterà? Anni allegri e depressi di follia e lucidità”.
Cantava così Raf un po’ di anni fa, con un po’ di nostalgia, di spensierata malinconia. Con la leggerezza di un qualcosa che è passato, che è finito.
Si chiude così l’era Pallotta, iniziata quasi un decennio fa e terminata senza clamori, senza rumori, con l’ormai ex presidente giallorosso assente da due anni da Roma. In questi anni di gestione americana, abbiamo capito che chi arriva lo fa in pompa magna e chi se ne va lo fa, spesso, in punta di piedi. E così ha fatto anche Pallotta, lasciando però un interrogativo: cosa resterà della sua gestione? Cosa verrà tramandato alla storia? Cosa rimarrà al netto delle polemiche e dei nervosismi degli ultimi mesi?
La bacheca racconterà di una Roma che non ha vinto nulla e questo è forse il rimpianto maggiore della gestione DiBenedetto/Pallotta. Il non essere riusciti a portare a Trigoria nemmeno una Coppa Italia, nulla di nulla. Rimarrà quindi la finale persa contro la Lazio, che ha segnato probabilmente il primo strappo con la tifoseria. Rimarrà però anche una Roma presente quasi sempre in Champions League, cosa quasi data per scontata ma non così ovvia nella storia giallorossa. Rimarranno i tanti allenatori passati nella Capitale, il via vai di giocatori ma anche di dirigenti. Le tante promesse fatte, le tante illusioni e speranze. Rimarrà anche la cavalcata Champions che ha portato la Roma di Di Francesco a un passo da una storica finale. Chi lo sa come avrebbe virato il corso della storia se i giallorossi ce l’avessero fatta. Con i se e con i ma non si combina nulla. Rimarrà quindi una Roma che ha tamponato l’emorragia nel bilancio ma non completamente. Una Roma che ha acquisito una dimensione internazionale, questo sì. È arrivato più di uno sponsor importante, sono arrivati i tornei estivi di prestigio, che non servono a incassare pochi spiccioli ma a sedersi al tavolo dei grandi, a far capire alla gente che c’è anche la Roma, che non ci si accontenta di giocare nel cortiletto di casa ma che si prova a crescere. Rimarrà una Roma che, sgomitando, ha provato e in parte è anche riuscita a dare del tu ai grandi club europei. Una Roma che, per un motivo o per l’altro, ha provato a scalare la vetta del successo, dovendo fare i conti con un bilancio e un fatturato che lasciava poco spazio alla fantasia e all’entusiasmo. Rimarrà nella mente dei tifosi il gran numero di cessioni, purtroppo fondamentali per sostenere una squadra e per vivere al di sopra delle proprie possibilità. Rimarrà anche il ritiro di Totti dal calcio giocato e sappiamo bene come sia avvenuto. Così come rimarranno l’addio di De Rossi e la conferenza stampa sempre di Totti.
Rimarranno gli attriti con la tifoseria e il tentativo di portare Roma fuori da Roma stessa.
Rimarranno tante speranze, tante illusioni, tanti tentativi concreti, anche se impopolari, di sradicare Roma dal suo ambiente per proiettarlo nell’Olimpo. Con risultati alterni e con uno stadio che, come un novello Godot, sembrava ogni giorno poter arrivare senza mai farsi scorgere: “C’è stato un sogno una volta che era Roma; lo si poteva soltanto sussurrare: ogni cosa più forte di un sospiro l’avrebbe fatto svanire. Era così fragile”, raccontava il Marco Aurelio di Ridley Scott. Ed è svanito, di colpo, evaporando come James Pallotta che sarà, da oggi, soltanto un nome polveroso nell’archivio storico della AS Roma.


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