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I due 0-2, uguali e diversi

di Gabriele Chiocchio

Nel calcio, come in ogni sport, l’obiettivo, lo scopo finale è la vittoria. Come ha ben detto Antonio Rüdiger nel postpartita, non si può essere felici dopo una sconfitta, che oltretutto riduce in modo quasi definitivo le possibilità di compiere il miracolo che serviva già prima del fischio d’inizio di Kralovec per superare il turno. In uno gioco con la conformazione del calcio, con un punteggio basso e l’episodio dietro l’angolo molto spesso diventa inutile parlare di meriti, perché altrettanto spesso questi non coincideranno con il risultato finale.

Esaurite le ovvietà di cui però bisogna tenere sempre conto per non scadere nella retorica, come troppe volte accade dopo gare analoghe quella di ieri sera, la partita contro il Real Madrid ha visto una Roma enormemente migliorata sotto l'aspetto della personalità e del bagaglio tattico aperto sul terreno verde, contro una squadra comunque in costruzione - e questo rende la prova a cui i giallorossi erano sottoposti un po’ meno difficile di quanto fosse stata disegnata, a dire il vero - ma quasi impareggiabile in Europa sotto il profilo tecnico. A un appuntamento abbastanza simile la Roma si era già presentata poco più di un anno fa: contro il Manchester City di Pellegrini, che ugualmente vantava capacità tecniche straordinarie ma un’unità di squadra tutta da verificare - nonostante il tecnico cileno fosse al secondo anno di permanenza sulla panchina dei Citizens - il confronto finì con stesso punteggio e stesse modalità, 0-2 con un gol nato da una singola giocata e uno in ripartenza nel finale. Ciò che è cambiato è tutto il contorno: in quella partita, in cui la Roma avrebbe “vinto” anche con lo 0-0, risultato che valeva la qualificazione, i giallorossi furono enormemente passivi, consegnandosi ai loro avversari e azzerando di fatto le possibilità di compiere l’impresa, visto lo scarto qualitativo troppo ampio tra le due formazioni. Ieri sera, invece, quello stesso scarto ancora più ampio è stata la - più che solida - ancora di salvezza del Real Madrid contro la squadra di Spalletti, ancora una volta perfettamente cosciente di quanto dovesse fare, in grado di tenere la gara in equilibrio grazie al proprio collettivo e punita in occasione di due dei pochi errori commessi. Se però alla Roma del 2014 si chiedeva di superare i propri limiti, l’obiettivo di questa era ed è quello di tornare a sfruttare tutte le proprie capacità: è finita quasi a rovescio, con la squadra di Garcia incapace di mettere in campo il proprio potenziale e quella di Spalletti che ha reso potenza, anche se non atto, l’imponderabile.

Tutto ciò si presta a duplice lettura: la sconfortante impossibilità di cambiare il risultato a certi livelli mutando l’ordine degli addendi contro la voglia di prendere il buono e trasferirlo in contesti più accessibili. E alla fine si ritorna all’ovvio: la Roma non ha risorse sufficienti per giocarsela alla pari contro le grandissime, ma ora ha il dovere di recitare la parte della grande entro i confini, dove ha già balbettato molto più del consentito.


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