Il bello e il brutto di José Mourinho
Fonte: L'editoriale di Gabriele Chiocchio
Roma-Sassuolo è stata la più Mourinh-esque delle partite. Una squadra messa in campo senza badare troppo all’avversario che ha finito per perdere equilibrio prima ancora della fase calda del match, un portiere decisivo e un colpo ancora più decisivo sulla sirena.
Quante ne avevamo viste, di partite così, col portoghese in panchina? Magari non 999, ma comunque tante. Tutte, però, con squadre dall’altissima caratura tecnica e di personalità. La Roma ha senz’altro una buona rosa, ma lontana da quei livelli lì, e scendere in campo per vincere le partite sempre di forza, più che con le idee, è una cosa che ci si può permettere solo ai massimi livelli. I giallorossi hanno disputato le prime tre gare di questo campionato non solo praticamente con gli stessi undici, ma anche con la stessa mentalità, che l’ha portata, probabilmente, a considerare troppo poco gli ostacoli che l’avversario di turno avrebbe potuto portare.
Un esempio pratico di questa sera è la scelta di Matias Vina, operata per non dover cambiare in quel ruolo, nonostante l’uruguaiano fosse reduce da una sosta piuttosto tribolata e dal ritorno a Roma avvenuto meno di 48 ore prima del match contro il Sassuolo. Il terzino, in netta difficoltà negli uno contro uno con Berardi - da cui sono arrivati il primo gol annullato al Sassuolo e anche quello convalidato - non è stato aiutato abbastanza e questo ha creato una mancanza di equilibrio che ha seriamente rischiato di essere decisiva in negativo. Uno squilibrio che Mourinho, come spesso ha fatto in carriera, ha scelto di cavalcare anziché sanare, cambiando quasi tutto l’attacco e portando Pellegrini in mediana, con El Shaarawy che ha permesso al portoghese di avere ragione dopo essere finito a un centimetro dall’aver torto, come da lui stesso ammesso in conferenza stampa. E anche questo: quante volte è accaduto su 1000 partite che hanno visto lo Special One in panchina?
Tante scelte nette, anche sfrontate, che vogliono preservare un’unità alla fine determinante per avere la forza di inseguire il risultato fino all’ultimo secondo: il bello di un allenatore che si è fatto conoscere proprio per questo modo di concepire il calcio, più psicologico che tecnico, più energico che pensato. Il brutto oggi l’abbiamo visto e magari sarà messo sotto il tappeto mentre si guardano tabellone e classifica, con la Roma nel gruppo delle tre a punteggio pieno. Ma non va dimenticato, perché vincere una partita così può essere anche bellissimo, pensare di vincerne 38 in questo modo può anche essere estenuante.