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Il modo giusto, il modo sbagliato e il modo di Garcia

di Gabriele Chiocchio

La serata della Borisov-Arena non può non essere una di quelle che rappresentano un punto di rottura, un check-point in una stagione che è ancora nella sua fase iniziale, ma il cui andamento rischia di essere compromesso se la Roma non comincerà a fare le cose nel modo giusto, dando seguito a quei presupposti necessari (e presenti) per non doversi precludere obiettivi importanti.

Dopo la sfida contro il BATE Borisov, si è parlato di una Roma che ha sottovalutato il suo avversario, un cliché a cui spesso si fa riferimento dopo un upset così importante (che è tale ben oltre lo scarto del punteggio e che tale sarebbe rimasto - o comunque dovuto rimanere - anche se il tiro di Florenzi fosse stato venti centimetri più basso) e che tante volte si è ripetuto nella storia giallorossa. Ma più che di sottovalutazione, probabilmente sarebbe più corretto parlare di errata valutazione dell’impegno: in Champions League, per definizione, partecipano squadre giocoforza abituate a dominare nei loro campionati, in classifica e di riflesso nel gioco. È chiaro ed evidente che schierare Stasevich e Mladenovic è diverso rispetto a disporre di Thomas Mūller e Marcelo, ma anche le piccole squadre della coppa più importante hanno armi strutturali studiate per far male ai loro avversari a prescindere dalla qualità degli interpreti, finendo spesso per soccombere contro avversari fuori portata ma avendo sempre la possibilità di sorprenderli quando impreparati. Questa dimensione è senz’altro poco conosciuta nei confini italici (e i risultati nelle coppe, escludendo l’ultimo anno che per il momento fa storia a sé, lo dimostrano), e per nulla ne ha fatto parte la Roma, che si è trovata completamente spiazzata dagli uomini di Yermakovich, perfettamente addestrati per il match pur con qualità tecniche decisamente abbordabili, come dimostrato dal secondo tempo.

I giallorossi, più che arroganti e presuntuosi, si sono dimostrati ignoranti di ciò che li attendeva, un modo sbagliato di approcciare alla Champions League derivante da quello con cui spesso approcciano in campionato e che può finire per limitarli proprio al di qua della frontiera. La rosa costruita in estate è assolutamente adatta per lottare per il vertice, ma per fare quel passo in più serve quel modo di fare le cose tipico delle piccole realtà di piccoli campionati, ma che non sembra, almeno fino adesso, appartenere a Rudi Garcia, i cui cammini europei sono stati affannosi anche ai tempi di Lille, con cui riuscì a vincere il campionato nel 2011 non confermando - anche inaspettatamente - nelle coppe quanto di buono mostrato in Ligue 1. Ed è difficile, molto difficile, considerare tutto questo solo una coincidenza.


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