L'alba di Capitan Florenzi
Fonte: Luca d'Alessandro
L’ultimo derby stravinto dalla Roma per 1-4, al di là del risultato, ha mostrato uno scorcio tra presente e futuro di un concetto sempre più ormai ridotto a un aspetto puramente romantico: la fascia di capitano. La Roma vive una situazione unica. Totti ha sempre più la figura di capitano emerito, De Rossi da capitan futuro è passato a capitan presente, ma il suo polpaccio lo ha relegato molto spesso ai box (19 presenze su 31 gare in Serie A). Senza loro due il capitano di Garcia era Seydou Keita che per esperienza e ruolo in campo, secondo il tecnico francese, incarnava perfettamente il ruolo. L’avvento di Spalletti, parafrasiamo Garcia, “ha rimesso la fascia al centro della romanità”, promuovendo il terzo figlio di Roma presente in prima squadra, Alessandro Florenzi, al prestigioso ruolo. Giocare il derby da capitano della squadra del cuore è uno di quei sogni che tutti fanno da bambino, specie se poi lo vinci 4-1 e segni la rete chiave nel momento più delicato del match. “La fascia da capitano mi ha dato la spinta a non mollare mai” ha dichiarato a fine partita il 24 giallorosso. Totti, De Rossi, Florenzi, capitani romani e romanisti quasi diretti discendenti l’uno dell’altro, destinati a passarsi il testimone e a portare il marchio Roma, nella squadra del futuro che rischia di perdere il proprio emblema già dal prossimo giugno. The Roma Legacy possiamo definirla. Ognuno è (stato) capitano a modo suo: Totti ha sempre trascinato la squadra grazie al suo essere fuoriclasse puro, De Rossi invece, più viscerale, è sempre stato più capitano in pectore-uomo squadra (il primo ad andare a esultare a ogni gol al derby, scattando dalla panchina), basandosi più sul carisma che sulla pura classe. Adesso, nel prossimo futuro (ma occhio ad alcune big europee interessate a lui), sarà la volta di capitan Florenzi. Il più anziano dei tre a indossare per la prima volta la fascia della Roma a 24 anni contro i 22 di Totti (con Il Capitano condivide il mese, ottobre e la squadra, l'Udinese) e i 22 e mezzo di De Rossi. Un capitano che ha fatto dell’umiltà e del lavoro il suo modus operandi. Le giovanili della Roma, l’esperienza al Crotone per poi tornare a Roma ed essere lanciato subito in Serie A da centrocampista. Con Garcia è stato avanzato prima al ruolo di attaccante esterno, poi retrocesso per necessità a terzino. Stesso iter con Spalletti, con il quale, nella sua prima contro l’Hellas ha giocato alto a sinistra nel 4-2-3-1 proposto. Contro la Lazio ha iniziato da terzino, ruolo non suo, per poi finire in avanti viste le difficoltà contro Keita Balde. Un lavoro di sacrificio, mandando giù situazioni che non gli andavano a genio con qualche frecciatina mandata nei confronti di un tecnico che gli aveva minato le sue certezze tattiche maturate in carriera fino ad allora. Umiltà, lavoro, spirito di squadra e di sacrificio che spesso hanno offuscato un talento puro, delle doti tecniche che lo stesso Florenzi si è ritrovato quasi costretto a mostrare al pubblico segnando gol stratosferici: rovesciate, tiri da centrocampo, coast-to-coast da porta a porta, conclusioni da fuori area, fino a domenica scorsa, quando non ci ha pensato su due volte, ecco un’altra sua dote: la spontaneità, a calciare quella palla respinta alla buona dalla difesa laziale, segnando l’ennesimo gran gol, decidendo il derby meno derby della storia, da romano, con la fascia al braccio, davanti a capitan Totti e capitan De Rossi, entrando di diritto in quella nicchia privilegiata, riservata soltanto a pochi calciatori che hanno indossato “questa maglia storica”.