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Mourinho, la "familia" e i "banditi": ma è solo questo il problema?

di Gabriele Chiocchio
Fonte: L’editoriale di Gabriele Chiocchio

La narrazione del nostro calcio ha portato alla ribalta una serie di concetti decisamente poco tecnici e sicuramente poco calcistici, utili per (non) spiegare una serie di cose in poche righe anziché doverle argomentare in molto più spazio del consentito. Uno di questi è quello della cosiddetta “mentalità vincente”, vale a dire quel qualcosa di assolutamente indefinito e indefinibile che fa sì che un gruppo di giocatori e allenatori che in carriera hanno vinto sia diverso dall’altro gruppo di giocatori e allenatori, magari altrettanto o addirittura più bravi dei primi, che per qualche motivo hanno vinto meno o non l’hanno fatto.

Ora, poniamo per ipotesi che questa “mentalità vincente” esista realmente e che José Mourinho ne sia uno dei portatori, arrivato a Roma proprio per soppiantare quel lassismo e quella pigrizia che per alcuni sono stati i principali motivi di mancati successi dal 2008 al 2022, più di, per esempio, disparità economiche con i competitor ed episodi decisivi puntualmente girati contro. Dopo il pareggio contro il Servette, il tecnico ha nuovamente addossato a giocatori indefiniti (come se non nominarli non ne riducesse la loro credibilità agli occhi del pubblico) colpe di superficialità; “nuovamente” perché non è la prima volta che il tecnico si allontana dal suo gruppo o da alcuni dei suoi singoli dopo un risultato negativo, vedansi Roma-Juventus, Sassuolo-Roma e altre gara.

Insomma, “familia” a giorni alterni e a risultati alterni, con un atteggiamento davanti ai microfoni che ha indiscutibilmente una solida base a livello psicologico, ma che, arrivati al terzo anno di gestione, comincia a suonare un po’ stucchevole, anche perché, tornando alla premessa, quella “mentalità vincente”, quel modo di fare da “banditi” dovrebbe essere la principale dote che l’allenatore dovrebbe portare al suo gruppo, in cui ci sono certamente calciatori più e meno in grado di recepire e rispondere a questi segnali, ma che non riesce proprio a migliorare in via definitiva da questo punto di vista se non in situazioni estremamente favorevoli per farlo.

Più che le interviste del dopo gara, comunque, quel che conta è sempre il campo e non è un caso che la Roma si approcci alla trasferta del Mapei Stadium con appena quattro successi fuori casa ottenuti in questo anno solare, contro una squadra poi retrocessa, una che aveva poco da chiedere al campionato, una formazione di uno stato non riconosciuto e una neopromossa. Se fosse solo un problema di “mentalità vincente” sarebbe paradossalmente più facile da risolvere, visto chi c'è in panchina. Ma siamo sicuri che sia così?


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