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Non al denaro, non all'amore, né al cielo

di Alessio Milone

C'è un solo obiettivo, oramai, da rincorrere, e la Roma lo sta facendo... in prima. Giri del motore altissimi, ma macchina che va a due all'ora. La sfida di San Siro è stata emblematica: i giallorossi sono riusciti a risvegliare l'orgoglio di una squadra con le ruote a terra, un Milan che non vedeva l'ora che finisse la stagione per togliersi di torno Inzaghi. Senza gioco, né grinta, né idee; è una frase che richiama alla mia mente quel meraviglioso album di De André ispirato all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee, con il protagonista che in un particolare viaggio tra realtà e coscienza si trova faccia a faccia con alcuni personaggi strani, stravaganti, ma ognuno con un'interessante storia da raccontare.

Con tutte le limitazioni del caso, allora, seguiamola questa strana strada che unisce calcio e letteratura, e proviamo ad analizzare una situazione, quella giallorossa, che - è palese - non è proprio rosea. Dunque:

Non al denaro. Perché non si è badato a spese a gennaio, comprando giocatori a prezzo folle, senza puntare a calciatori validi a un prezzo giusto. Stavolta no, non li facciamo riferimenti, ma chi ha orecchie per intendere intenda, e non si faccia abbagliare da recenti prestazioni che, seppur positive, non giustificano le follie fatte a gennaio per portarli nella capitale; Sabatini aveva un buon capitale da spendere per rinforzare la squadra: è evidente che, soprattutto a gennaio, le sue scelte siano state sbagliate, e le conseguenze le stiamo notando tutt'ora, di domenica in domenica.

Non all'amore. E qui neanche c'è da spiegare. C'è ancora amore per questa maglia? Sugli spalti, una marea. In campo, da qualche parte sì, da troppe parti no. La Roma è piena di professionisti, ma povera di romanisti. Benatia ne è un esempio: il marocchino, dopo un anno nella Capitale e dopo aver avuto dimostrazione dell'amore incondizionato dei tifosi, se ne è volato in Germania. Sia chiaro, ha così avuto l'opportunità di far carriera e giocarsi una Champions fino alle semifinali, perciò nessuno lo biasima, ma... l'attaccamento alla maglia di chi indossa questi colori, dov'é? Ecco: quello è mancato in Medhi per esempio, e quello manca tutt'ora, spesso, troppo. "Eh, figurati se doveva rimanere a Roma e rinunciare al Bayern" qualcuno dirà, a questo punto. Sì dai, in fin dei conti, è un'affermazione ovvia. Ma non logica. Perché poi, come si vuole pretendere di competere in Europa se si considererà il blasone della Roma sempre inferiore rispetto alle grandi europee? Dunque, ok Totti, ok De Rossi, ok Florenzi, ma... gli altri? Sicuri che ci sia veramente la romanità, nella testa dei ragazzi di Garcia? (E, soprattutto, nella presidenza?)

Né al cielo. Il dio del calcio, s'intende. Strano, bizzarro quanto basta per rendere la squadra giallorossa da concorrente al titolo a flop del campionato, nonostante un secondo posto in ballo. Il calcio è così, è dettato da divinità particolari, permalose, che se solo ti senti un po' più forte di quello che sei ti scaraventano giù, per terra, a cercare tra i sassi l'umiltà perduta. A Roma così è stato: forse c'era qualcuno che si sentiva imbattibile dopo la super annata 2013-2014, forse il mercato estivo aveva reso tutti un po' esaltati. Ma la lezione è servita: mai abbagliarsi di glorie presunte, meglio concentrarsi sulle risorse concrete, quelle su cui puoi veramente puntare per provare pian piano a costruire - con il giusto denaro, uno smisurato amore e... l'aiuto del cielo - un futuro intelligente.


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