Rivoluzione senza terrore
Un giocatore rilascia un’intervista ritenuta di troppo, l’allenatore prende un provvedimento disciplinare nei confronti di quel giocatore, il giocatore accetta il provvedimento e dal giorno dopo ritorna a lavorare come e più di prima. Sarebbe tutto normale, probabilmente anche sano, se l’allenatore in questione non fosse Luciano Spalletti, il giocatore Francesco Totti e la squadra la Roma, che di cose normali nella sua storia ne ha viste probabilmente meno di quante ne avrebbe dovute vedere. Già la presenza in rosa di un elemento del reparto offensivo di oltre trentanove anni è una anormalità dettata principalmente, se non unicamente, dal suo nome e dalla sua storia, ma anormale è stato anche tutto ciò che ha seguito quello che è successo sabato, specie dopo aver invocato per mesi la presenza di un allenatore che, ed è una citazione letterale, “attaccasse al muro” i calciatori che si fossero resi protagonisti di comportamenti non consoni al bene della squadra.
Spalletti non ha attaccato al muro nessuno, ha semplicemente fatto quello che ha ritenuto corretto per gli equilibri di uno spogliatoio che è rimasto sì sorpreso di quanto accaduto - e chi non lo è stato, anche fuori? - ma che, anche contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, è rimasto compatto verso l’obiettivo della vittoria di domenica scorsa contro il Palermo. Probabilmente altri allenatori, anche invocati dalla piazza per sostituire il morbido Garcia, avrebbero, pur non deliberatamente, fatto ulteriormente divampare le fiamme di un incendio pronto a bruciare tutto ciò che di buono è stato fatto nelle ultime settimane; la forza di Spalletti, che pure non si è risparmiato frecciatine nella sala conferenze di Trigoria, è stata finora quella di ridurre il caso a termini minori possibili, sia pure con l’aiuto del risultato, pur premendo quel pulsante che nessuno aveva avuto il coraggio di premere in precedenza.
La vera rivoluzione, probabilmente iniziata con un po’ di ritardo rispetto a quanto sarebbe dovuto accadere, sarà affrancarsi definitivamente da quello che è stato, e che giocoforza non potrà (e non doveva) più essere, il peso di Francesco Totti nella Roma. Non si può considerare lesa maestà un dato di fatto, ovverosia l’impossibilità di competere a certi livelli puntando su uno straordinario quasi quarantenne come lui. È già straordinario pensare che solamente due stagioni fa il numero 10 sia stato attore protagonista di una cavalcata da 85 punti, che poco più tredici mesi fa abbia segnato una rete di peso e fattura impressionanti anche per giocatori fisicamente ben più integri di lui e che in questa stagione abbia raggiunto la quota di 300 gol in giallorosso. "Io considero Totti in modo così forte un calciatore che lo valuto al pari degli altri": queste dichiarazioni sono uno dei più grandi attestati di stima che un allenatore possa fare a un calciatore come Francesco Totti e a queste dichiarazioni sono seguiti fatti, come tante volte viene chiesto quando qualcuno apre bocca o scrive su una pagina web o su carta. Si può separare l’ammirazione dalla necessità, la fede dalla voglia di competere, l’amore dal risultato. E se Totti e la Roma riusciranno a farlo, quella giallorossa sarà una rivoluzione senza terrore.