Tre capitani, tre percorsi da seguire, tre modi di rappresentare la Roma
Fonte: L'editoriale di Luca d'Alessandro
Essere capitano della Roma non è soltanto una fascia da indossare al braccio durante le partite. In una piazza passionale e chiaccherata come quella giallorossa è un qualcosa che ti accompagna per tutta la vita. Lo è così per Totti, De Rossi e Dzeko, ognuno a modo proprio, ognuno col suo ruolo nella storia del club. Chi ormai rappresenta il passato che non si dimentica, chi incarna quella ricerca di internazionalizzazione tanto voluta dalla presidenza Pallotta. Non è un caso che, in attesa dello sbarco a Roma dei nuovi proprietari del club, i Friedkin, in attesa di capire se decollerà mai questo calciomercato in entrata, siano loro a tenere banco, ognuno a modo proprio.
Partiamo per importanza storica da Totti. Con la cessione di Pallotta a Friedkin l'associazione di idee che in molti hanno fatto è stata più o meno questa: "Ora Totti può tornare alla Roma". Se effettivamente il problema fosse stato personale tra i due non ci sarebbero problemi, ma stando a quanto espresso dal Capitano la causa del suo divorzio attuale dal club sia stato di visioni d'intenti e di ruoli. Ecco perché sia abbastanza particolare come i rumors vogliano Totti nella Roma di Friedkin in qualità di Brand Ambassador, quando il suo desiderio è sempre stato quello di occupare un ruolo "di campo", volendo la direzione tecnica del club. Inutile dunque, senza questa volontà da parte della nuova proprietà forzare la mano su un suo ritorno.
Chi è stato abbastanza chiaro invece è De Rossi. La sua volontà è quella di diventare allenatore (passando per la scuola di Coverciano). Il tecnico, non il dirigente, "patentino" che nell'ultima parte di carriera gli era stato affibbiato per il suo carisma dentro al campo e davanti ai microfoni. Anche qui in una sorta di sindrome da abbandono della romanistità, ancora prima dell'attuale effetto Pirlo, già lo si era collocato sulla panchina della Primavera, lasciatagli in eredità da papà Alberto.
Infine c'è Edin. Colui che tolto il breve interregno Florenzi, ha ereditato la fascia da capitano dai due mostri sacri. Romano non di nascita, ma d'adozione. Un amore a prima vista, quando con la moglie è rimasto incantato dalla città, in un viaggio esplorativo prima di firmare per i giallorossi. Un destino strano il suo, osannato a Fiumicino il giorno del suo arrivo, criticato come solo l'era dei social sa fare. La sua permanenza in a Roma fin dal sua prima stagione è stata messa in discussione: Spalletti lo ha convinto a rimanere, Monchi di fatto lo aveva ceduto al Chelsea nel gennaio della stagione della semifinale di Champions, valige pronte direzione Inter, salvo poi il non volersi far prendere per il collo dall'Inter, come dichiarato da Petrachi e in questa stagione già piazzato alla Juventus. Allo stato attuale resta, confermato poi dalle parole del CEO Fienga, una delle poche certezze di una squadra che, a pochi giorni dall'inizio della nuova stagione abbia come priorità la ricostruzione del reparto difensivo più che variare quello offensivo.