Un mezzo per un fine
Fonte: L'editoriale di Gabriele Chiocchio
Impossibile non aver avuto una fortissima sensazione di déjà vu guardando Roma-Empoli, specialmente gli interminabili ultimi minuti, con i giallorossi già ai minimi termini, ridotti in 10 e chiamati a coprire contro una squadra appena ai margini della zona retrocessione. Impossibile non essere tornati indietro con la memoria guardando il tabellone dello Stadio Olimpico, che al triplice fischio di Maresca ha mostrato un risultato caro alla prima Roma di Ranieri, quel 2-1 visto alla prima contro il Siena, all’inizio della lunghissima serie positiva contro il Bologna, nel big match contro l’Inter, nel più celebre dei quattro derby vinti contro la Lazio e in tante altre partite. 2-1 significa lotta e sofferenza, specie nel finale quando l’avversario, che ha segnato un gol, sa di poterlo fare ancora una volta. E stasera all’Olimpico era successo, prima della correzione del VAR che ha rimesso le cose a posto per la Roma: l’unica differenza rispetto a un decennio scarso fa. Quando la spinta motivazionale - non certo di gioco - di Claudio Ranieri durò tutte le 36 partite di quel campionato e spesso, quando si assiste a prestazioni di questo tipo, si dice che “non può durare a lungo”: la fortuna è che questa Roma non deve durare a lungo, ma per appena un terzo delle gare rispetto al primo stint del tecnico di San Saba, una delle quali già è stata messa in cascina, con un po’ di fatica ma con i primi tre punti che mantengono la Roma in corsa per un posto in Champions League. Punti, questo si chiede a Ranieri, i cui mezzi sono conosciuti almeno quanto il fine e sono stati dichiarati - per i pochi che se li fossero dimenticati - in conferenza stampa: improbabile aspettarsi qualcosa di diverso, con un margine di miglioramento tanto ampio quanto è ampio il numero degli assenti, tra infortuni e squalifiche. E nel miglioramento di chi c’era stasera: Nzonzi può essere il facilitatore di palleggio che non è stato in passato, El Shaarawy ha mostrato contemporaneamente determinazione e qualità così come Schick, la cui esultanza rabbiosa, chissà, può essere un simbolo di questo finale di stagione. Da affrontare partita per partita, dimenticando la precedente e non pensando a quella ancora dopo: a costruire per il futuro ci deve pensare chi è dietro le scrivanie, sperando di avere più calce e mattoni possibile da chi sta in campo.