Un uomo solo non comanda
Fonte: L'editoriale di Gabriele Chiocchio
Walter Sabatini, Franco Baldini, Rudi Garcia, Luciano Spalletti, a tratti persino Zdeněk Zeman. Nell’avventura della Roma americana non sono mancati personaggi subito elevati a uomini della provvidenza, elementi da soli in grado di cambiare il destino di una ormai novantenne società dalla storia più o meno sempre uguale, salvo poi essere scaricati e ripudiati come se essi stessi, sempre in rigorosa solitudine, fossero la causa unica della mancata svolta auspicata. Mercoledì ha varcato per la prima volta la soglia della sala conferenze di Trigoria Monchi, del quale non si perde tempo a citare il palmares di trofei che il Siviglia ha vinto durante la sua permanenza, come se fosse stato lui a scendere in campo o anche solo a teleguidare allenatore, calciatori e staff tecnico. La mancanza di una vittoria di una qualunque competizione ufficiale ha quasi azzerato la pazienza di tutti e accentuato la ricerca di un rimedio rapido, la cui esistenza è ampiamente smentita dai fatti, e di un salvatore della patria che possa guidare il popolo giallorosso alla sua eterna rivincita contro il male: la prima missione del nuovo DS è scrollarsi di dosso questa etichetta, all’inizio anche piacevole ma pronta a ritorcersi contro in mancanza di risultati come accaduto a tutti i suoi predecessori. A Siviglia Monchi lavorava con l’ausilio del suo staff, a Roma ne troverà uno nuovo che dovrà coordinare, una squadra per fare una squadra che prima di tutto dovrà prendere una strada e seguirla, dopo i tanti ritorni al punto di partenza - o poco oltre - di questi anni. Certo, alcune questioni dovrà risolverle lui in prima persona e nella presentazione di ieri il nuovo DS non ha di certo rifiutato queste responsabilità. Tanta chiarezza nel parlare di Spalletti, De Rossi e soprattutto Francesco Totti, anche se alla fine della fiera non ha fatto altro che riportare la situazione al punto di partenza, a quell’annuncio fatto contestualmente a quello del rinnovo di contratto per l’ultimo anno. Qualcuno ha già caricato sulle sue spalle una responsabilità enorme come quella della conclusione di una carriera infinita di un numero 10 infinito, una sorta di effetto placebo per un ambiente che più volte ha dimostrato di non essere pronto a un distacco del genere. Ma il discorso è il medesimo: un uomo solo non comanda né in campo, né fuori.