Una cessione che viene da lontano
Fonte: Redazione Vocegiallorossa - Gabriele Chiocchio
La data dell’ufficialità della cessione di Miralem Pjanić non è ancora nota, quella del momento in cui questo - ancora eventuale - trasferimento ha avuto concepimento è invece più o meno facilmente rintracciabile. Nell’estate del 2013, la Roma, messa spalle al muro da un ambiente infuocato dopo la sconfitta in finale di Coppa Italia, ha cambiato totalmente registro: addio al progetto giovani, benvenuti acquisti di giocatori già formati, anche avanti con l’età, per ottenere risultati immediati. Risultati che sono arrivati fino a un certo punto (nessun trofeo, comunque non da favoriti, due qualificazioni alla fase a gironi e una ai playoff di Champions League), ma che hanno avuto un costo insostenibile o comunque più alto di quanto ci si potesse permettere: il fair-play finanziario, di cui si è spesso rifiutata l’esistenza per poter accusare la proprietà di mancati investimenti (paradossale, se si pensa alla situazione odierna) ha certificato come la Roma abbia vissuto oltre le proprie possibilità e ha imposto ai giallorossi di rientrare in parametri più adatti a esse. Parametri che Walter Sabatini ha tentato in ogni modo di rispettare senza far venir meno la competitività della squadra, con equilibrismi finanziari talmente precari da essere spazzati via da una fatalità come l’infortunio di Antonio Rüdiger. In una situazione simile ogni errore avrebbe avvicinato la Roma al pagamento del conto e quel momento è arrivato, appesantito da sbagli gestionali, inevitabili toppe, visto l'elevato numero di operazioni, prese nel corso degli anni e da una invece evitabile errata considerazione di alcune risorse, sfruttate decisamente poco per quanto avrebbero potuto rendere, prevenendo ulteriori spese non messe in preventivo, che hanno contribuito al raggiungimento della situazione odierna. Non è il momento delle lacrime di coccodrillo, nel 2013 nessuno avrebbe accettato di ingaggiare Wallace invece di Maicon, nel 2014 una sconfitta con la Juventus nella corsa a Juan Manuel Iturbe avrebbe scatenato accuse e la conferma di Mattia Destro, che nel frattempo viaggiava con una media praticamente di un gol a partita da titolare aveva lasciato un senso di incompiutezza (e si era invocato proprio il rinnovo di Pjanić a qualunque condizione), nel 2015 in pochi avevano storto il naso sull’acquisto di quell’Edin Džeko che adesso pare il primo spreco di risorse, e che per certi versi, viste le scelte tecniche operate da Spalletti lo è, ma che, gestito in altro modo, sarebbe stato la chiave per guadagnarsi un altro anno di ossigeno finanziario. Se la soluzione sarà ricalibrare di nuovo tutto l’apparato in senso opposto, dando priorità alla sostenibilità rispetto alla competitività, o tentare ancora la sorte continuando a lavorare in perdita, al momento non è dato saperlo, ma occorre prendere una via decisa e farlo meglio di come si è fatto finora.