Una storia di capitani e di bandiere
Fonte: L'editoriale di Alessandro Carducci
In queste ore in città non si fa altro che parlare della vicenda Totti-Ilary. Al di là di cosa sia veramente accaduto (sono fatti loro), fa pur sempre impressione vedere quanto se ne parli per strada, nei bar e, soprattutto, sui social. Totti e Ilary, due icone e due simboli non solo per Roma ma per tantissime persone. La storia di un ragazzo che cresce e si fa uomo indossando una sola maglia, quella della Roma, un club probabilmente al di sotto della classe del giocatore, che avrebbe potuto calcare campi più blasonati come quelli del Bernabeu o di San Siro. Una storia, quella di Totti, che ha tracimato gli argini della Capitale per invadere le case di tutta Italia. Un giocatore legato alle proprie radici, dal dialetto alla maglia fino alla fede smisurata per la sua Roma. Tutti ingredienti che hanno fatto affezionare non solo i romanisti ma tanti anche al di fuori della città. D’altronde, in questa epoca dominata dal Dio denaro è difficile trovare delle bandiere, dei giocatori così radicati nel territorio e che riescano a resistere tutta la carriera, evitando le pressioni degli altri club, dei dirigenti, dei procuratori, del mondo esterno. Rimasto orfano di Totti, infatti, il popolo giallorosso ha iniziato il proprio pellegrinaggio alla ricerca della nuova bandiera che possa incarnare quei valori che Francesco Totti ha incarnato per tanti anni. Per alcune stagioni, il testimone è stato facilmente raccolto da Daniele De Rossi e fin qui è filato tutto liscio. Parliamo, d’altronde, di un altro campione, romanista fino al midollo, una sorta di ultrà sul terreno di gioco.
GLI EREDI - I problemi sono iniziati dopo: con il ritiro di capitan futuro, infatti, l’enorme pressione si è spostata inizialmente sulle spalle di Alessandro Florenzi. Con i problemi legati al suo rinnovo, sono contestualmente iniziati i problemi con parte della tifoseria, che stava faticosamente cercando un altro padre spirituale, la stella polare alla quale aggrapparsi e che potesse illuminare il cammino della Roma; un altro giocatore capace di portare l'onore ma anche l'onere della responsabilità di essere simbolo di Roma, erede non dell’impero romano ma di Totti e De Rossi, gli ultimi Re rivisti in chiave moderna. Una pressione enorme, capace di schiacciare qualsiasi essere umano. Florenzi, alla fine, è emigrato trovando fortuna e serenità altrove e il testimone (un testimone bollente) è passato nelle mani di Lorenzo Pellegrini.
Il popolo giallorosso ha inizialmente accolto il figliol prodigo, tornato dall'esperienza formativa al Sassuolo. Una volta, però, avvolta al braccio la fascia da capitano sono cresciute le aspettative: essere romano, romanista e cresciuto nella Roma è un’eredità bellissima ma, allo stesso tempo, faticosa. Anche Pellegrini ha avuto qualche dissapore con la tifoseria. Niente di eclatante, niente di pubblico, ma un mormorio da parte di alcuni tifosi, con il centrocampista giallorosso che ha sempre fatto del proprio meglio, giocando in condizioni a volte precarie ma stringendo i denti per la maglia giallorossa. Il clima è cambiato lo scorso anno, con l’avvento di José Mourinho e con una partenza, quella di Pellegrini, pazzesca e che ha cambiato il clima attorno al capitano giallorosso.
Una tradizione, quella dei capitani romani e romanisti, che sta proseguendo e deve essere motivo di orgoglio per il tifoso giallorosso, in un calcio dominato dai soldi e dagli interessi. Guardando sempre con ammirazione Totti e De Rossi e l’impronta che hanno lasciato nella storia della Roma. Un’impronta indelebile.