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ESCLUSIVA VG, Federico Bettoni: "Cesena-Roma, gara tra due grandi deluse. L'allenatore? Prenderei un italiano"

di Eleonora Ciampichetti

A poche ore dall’ultima gara di Campionato, Vocegiallorossa.it ha incontrato Federico Bettoni, ex centrocampista di Cesena e Fiorentina, nonché tifoso della Roma, per commentare la difficile annata del club capitolino. Tra i vari argomenti toccati, Bettoni ha ripercorso la sua carriera da calciatore, gli anni trascorsi nella squadra romagnola, la stagione con i Viola ed il periodo di Calciopoli. Di seguito l’intervista completa:

Attualmente ti sei allontanato dal mondo del calcio, perché?
“Ho smesso di giocare quando l’era Moggi era ancora nel suo pieno e lui aveva tutti i suoi canali: o scendevi a compromessi con questo tipo di gente oppure eri tagliato fuori dal calcio. Io sinceramente sono sempre stato un indipendente, uno che giocava per il piacere di giocare e per passione. Vedevo, invece, colleghi che si prestavano a cose che mi inorridivano al solo pensiero, però poi magari si ritrovavano a fare determinati tipi di carriere molto più brillanti. È stato un periodo davvero particolare, in cui le conoscenze, le amicizie e i rapporti interpersonali erano più importanti del valore del giocatore e della persona in sé. Purtroppo poi abbiamo visto che le partite si decidevano anche in maniera differente da quello che è il semplice undici contro undici. In Serie A tutto ciò era rappresentato dalla Juventus e da altre squadre, ma nelle serie minori il senso del potere era altrettanto forte e quindi questa situazione emergeva in maniera ancor più eclatante. Mi sono tirato fuori da quell’ambiente perché era un ambiente di compromessi ed io che non li avevo accettati da giocatore tanto meno li avrei accettati da post-giocatore, quindi da dirigente o allenatore. Così, sono passato dal mondo del calcio a quello dello spettacolo; il mio ruolo è un po’ come quello del procuratore sportivo traslato al settore dello spettacolo, sono un agente degli artisti e mi occupo principalmente della parte legale. Quello tra calcio e spettacolo è un parallelismo legato non solo dall’Enpals (ente previdenziale degli sportivi e degli artisti, ndr) ma anche da tante altre piccole cose compresi gli eccessi”.

Come nasce la tua fede giallorossa?
“Sono tifoso della Roma da sempre; nonostante la carriera tra i professionisti per quindici anni la prima domanda che facevo alla fine della mia partita era: «Che ha fatto la Roma?». Molti dei miei colleghi mi guardavano allibiti. La passione per questi colori è una visceralità che ti porti dentro e che non si cancella nemmeno in concomitanza con l’attività professionale”.

Roma-Fiorentina, stagione 1995-1996: cosa hai provato a giocare contro la tua squadra del cuore?
“Quella fu una bella stagione, c'erano calciatori del calibro di Batistuta, Toldo e Rui Costa e vincemmo la Coppa Italia. È stata bellissima l’emozione dell’Olimpico, fu una partita combattuta, la Roma vinceva 2-0, poi noi riuscimmo a pareggiare. Io entrai nell’ultima mezz’ora al Posto di Rui Costa; all’epoca l’allenatore della Fiorentina era Claudio Ranieri, anche lui romano e romanista, quindi sapeva quanto ci potessi tenere ed immagino abbia apprezzato il mio duplice sforzo, perché logicamente quando affronti la Roma non è che non ti impegni perché sei un suo tifoso, anzi magari dai ancora di più. Quella fu una bella stagione, c'erano calciatori del calibro di Batistuta, Toldo e Rui Costa e vincemmo la Coppa Italia”.

Che ricordi hai di Cesena?
“È una piazza molto bella, una delle poche realtà del nord che ha il calore del sud. Lì la gente è molto espansiva, la mentalità è più simile a quella romana; c’è un’aria di festa e di goliardia. La passione, che poi i tifosi ti trasmettono in campo, è molto forte. Non a caso i romagnoli si definiscono i romani del nord ed in effetti è vero. Sono rimasto molto legato a Cesena, il primo anno feci bene, segnando anche cinque gol in quattro mesi; poi purtroppo un brutto infortunio alla caviglia mi ha pregiudicato un po’ la fine della stagione e l’inizio del secondo anno è stato in salita. Tuttavia ho un bellissimo ricordo”.

Come commenti la retrocessione del Cesena?
“I bianconeri avevano una squadra per fare tutto un altro tipo di Campionato. Ma il calcio è anche questo: nel momento in cui costruisci una rosa più forte ti ritrovi a retrocedere perché tante piccole cose non si sono incastonate. Mi viene in mente, ad esempio, il tandem d’attacco Mutu-Iaquinta: poche altre squadre nella zona bassa della classifica hanno giocatori di questa qualità. Entrambi, però, hanno trovato difficoltà, hanno avuto infortuni e poi la situazione è degenerata. Io confido molto nella presidenza Campedelli; spero che abbia la voglia e la forza di riprovare subito a tornare in Serie A. Cesena è un’isola felice, c’è un centro sportivo fantastico con tantissimi campi, credo ci siano tutte le strutture adeguate per fare un certo tipo di calcio. Se il Presidente terrà duro e continuerà su questa strada le possibilità per far bene ci sono. Personalmente non ho condiviso l’idea di fare il campo in erba sintetica. Non sono un anti-progressista, ma per me il calcio deve essere su erba, perché se piove il terreno deve essere pesante e sul campo artificiale anche il rimbalzo della palla è falsato. Forse non è stato un caso che Novara e Cesena, le due squadre che hanno adottato campi sintetici, siano retrocesse”.

Cesena-Roma: cosa ti aspetti?
“Purtroppo è una partita tra grosse deluse. Tutte e due le squadre hanno fallito i loro obiettivi. Per i giallorossi era prevedibile, si sapeva che questo sarebbe stato un anno di transizione per via anche del passaggio societario. Non c’è stato, però, quel percorso di crescita che ci si aspettava; in più c’è stato questo brutto calo verso il basso che ha determinato una serie di risultati negativi. Ciò che auguro alla Roma è di tornare ai livelli che le competono e cioè a lottare almeno per la cosiddetta zona Champions; io confido in Sabatini e Baldini per rimettere in piedi questa situazione. Per quanto riguarda il Cesena, invece, spero abbia risorse e volontà per rimettersi subito in carreggiata”.

Qual è la tua opinione su Luis Enrique?
“Inizialmente ero fiducioso. Anche se avevo capito che questo non era l’allenatore che faceva al caso della Roma quando ha scelto la residenza all’Olgiata, a un’ora e mezza di macchina da Trigoria, togliendo di fatto tempo anche allo studio pre-allenamento. Tatticamente, con il passare del tempo ho visto fare errori incredibili dalla linea difensiva e da quella di centrocampo, errori che non si vedono neppure all’oratorio. È una critica dura questa, ma nel calcio la fase difensiva va curata tanto quanto quella offensiva. Sono convinto che il percorso che voleva intraprendere l’asturiano fosse anche giusto, perché è bella l’idea di un calcio diverso, ma questo non vuol dire non curare i dettagli di una diagonale difensiva o una marcatura su un calcio piazzato. Purtroppo ci sono stati sbagli macroscopici. L’età media dei calciatori è molto bassa, ma non si è lavorato abbastanza sulla loro crescita, anzi a fine stagione si sono viste lacune ancora più evidenti rispetto all’inizio, come alcuni errori di Kjaer, Rosi e José Angel che andrebbero fatti vedere a Coverciano perché sono l’abbiccì del calcio. Comunque, oltre ai demeriti del tecnico ci sono stati senz’altro anche quelli dei giocatori. Luis Enrique ha pagato per i suoi sbagli, sono sicuro che facendo esperienza riuscirà ad affermarsi, ma forse anche il gruppo non ha dato il massimo per cercare di risollevare questa situazione. E forse potevano fare qualcosa in più anche i dirigenti soprattutto in sede di mercato a gennaio, quando l’unico acquisto (Marquinho, ndr) non è stato fatto nel reparto in cui si aveva maggiori necessità, vale a dire quello di difesa”.

Toto allenatori: chi vorresti vedere sulla panchina della Roma?
“Non mi rivolgerei ad un altro straniero, ci sono tanti validi allenatori italiani. Potrei dire Allegri o Ancelotti ma non solo. Punterei verso qualcuno che ha voglia e che ha fama di saper lavorare con i giovani considerando le carte d’identità della rosa giallorossa. Chi guiderà la Roma deve soprattutto conoscere il Campionato italiano e la piazza capitolina. Qui se nell’anno dello scudetto perdi il derby si crea una polemica lunga due settimane. In questa squadra poi inserirei alcuni innesti di esperienza di un certo livello perché ha bisogno di elementi guida e perché il sempre valido Totti non giocherà in eterno”.

Un bilancio sugli acquisti.
“Tutti più o meno hanno avuto alti e bassi clamorosi. Parlare di singoli in questa stagione credo sia molto difficile. José Angel, ad esempio, la prima giornata sembrava il nuovo Nela, poi invece si è dimostrato la più grande delusione. Forse Marquinho è stato il giocatore più costante, insieme a Stekelenburg. Osvaldo ha avuto grandi picchi, così come Lamela che secondo me, però, è ancora molto acerbo e ha bisogno di gavetta per affermarsi. Anche Bojan ha avuto fasi alterne: quando entra dalla panchina fa bene, quando parte da titolare un po’ meno. Per quanto riguarda il centrocampo, Gago e Pjanić hanno avuto un inizio molto positivo, poi sono naufragati anche loro nella mediocrità”.


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