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"Fuori Gioco": un libro che racconta gli intrecci dei potenti del calcio. Turano a VG: "DiBenedetto è un outsider , sulla legge sugli stadi lo zampino di Lotito.."

di Alessandro Carducci

"Dieci ritratti di alcuni tra i più influenti presidenti di serie A, dei club più importanti. Volevo cercare di raccontare ciò che sta dietro lo sport preferito  dagli italiani: il potere a livello economico, imprenditoriale, tra i presidenti e le banche, i partiti e la grande finanza". L'autore del libro, e giornalista dell'Espresso, Gianfrancesco Turano racconta a Vocegiallorossa.it il suo nuovo libro "Fuori Gioco", scritto per raccontare "tutti gli intrecci che sono Fuori Gioco, fuori dal gioco del calcio".
Vengono sviscerate le principali figure del calcio italiano degli ultimi anni, da Cragnotti a Tanzi, da Berlusconi a Moratti, da De Laurentiis a Lotito, da Della Valle a Zamparini. Poteva mancare la Roma? Ovviamente, no: "La posizione di DiBenedetto è particolare - prosegue Turano a Vocegiallorossa.it - è un outsider del calcio italiano. E' l'unico straniero in serie A, è arrivato qui con la mentalità americana, molto diversa dalla nostra. In Italia c'è un cimitero di bancarotte. Questa è la storia di com'è il calcio italiano: un grande salotto del potere, dove si entra a volte per passione, più spesso per prestigio e immunità diplomatica.
DiBenedetto è stato accolto con un atteggiamento doppio: c'è chi ha visto in lui il salvatore della Roma, chi invece non credeva nemmeno che esistesse e si dubitava della sua consistenza economica, con tutte le polemiche relative, per esempio, al suo viaggio da Boston in classe economy.
E' stato un inizo difficile per lui. Ha dovuto trattare con una banca, non con un privato, ma in questi primi mesi ho visto segnali di rottura con il passato.
Un esempio: gli accrediti dati a molteplici personaggi in Tribuna Autorità. Baldini, dopo averlo annunciato in conferenza stampa, ha stroncato veramente questo fenomeno e ora la Tribuna è un pochino più vuota. Ovviamente gli americani sono interessati al business ma vedo segnali di profondo cambiamento".


Turano fa anche un excursus sul passato giallorosso: "Ciarrapico fu messo a capo della Roma da Andreotti, e per capire quanto fosse interessato al calcio basti pensare che voleva comprare come centravanti Dino Zoff..
Poi arrivò Sensi, che aveva un atteggiamento ben diverso. Suo padre contribuì alla nascita di Campo Testaccio, il figlio ha ottenuto grandi risultati. Si è dovuto però mettere al passo col calcio del tempo, dove le regole le dettava il Milan di Berlusoni, che spendeva tanto per i giocatori. Eravamo in piena fase di delirio totale dal punto di vista economico, quando Crespo valeva oltre 100 miliardi.
La Holding dei Sensi è stata poi svenduta, la squadra è finita piena di debiti".


Una battuta sullo stadio nuovo: "E' considerata dagli americani una priorità ma non lo avranno presto. Siamo in Italia, ci vorrà tempo e loro stanno iniziando a convivere con questa idea.
La questione stadi viene affrontata in maniera approfondita nel libro. E' un fenomeno che riguarda tutta l'italia. Solo la Juventus lo ha costruito, la vicenda è molto bizzarra.
La legge? E' una cosa demenziale. L'unica legge su cui destra e sinistra erano d'accordo ma non è ancora stata approvata. Perché? Vi dico solo che c'è lo zampino di Lotito ma nel libro è spiegato tutto".

 

Vocegiallorossa.it vi propone di seguito uno stralcio del libro:

Il primo febbraio 2011, subito dopo che i tifosi all’Olimpico hanno esposto striscioni contro gli Angelucci, la Pms, società
di pubbliche relazioni del gruppo, suggerisce alle agenzie la notizia che Aabar, un fondo sovrano di Abu Dhabi con una
partecipazione del 5 per cento in Unicredit, è interessato alla Roma ed è pronto a offrire fra 150 e 180 milioni di euro. A
mercati aperti, la novità provoca un rialzo del titolo del 20 per cento. La mattina dopo arriva la smentita degli arabi e la visita
della Consob negli uffici della Pms.
Gli americani adottano la tattica dello stop and go: puntano al miglior prezzo e sfruttano la lentezza della controparte nella
discussione dei contratti. Di annuncio mancato in annuncio mancato, il partito scetticista si rafforza e la cifra di acquisto
scende. Il 15 aprile, quando i contratti e i patti parasociali vengono firmati, si scopre che la cordata statunitense compra la
Roma per un piatto di lenticchie. I piccoli azionisti, con un titolo che sfiora 1,2 euro, si accorgono di avere preso una fregatura
gigantesca, visto che il prezzo fissato per l’Opa imposta dalla legge è circa la metà (0,67 euro), una somma molto bassa
anche rispetto alle medie degli ultimi dodici mesi. Poi ci pensa il crollo dei mercati a dare la mazzata finale al titolo, sceso a
circa mezzo euro. La proprietà passa ufficialmente nelle mani della cordata Di Benedetto dopo Ferragosto del 2011. Alla fine, se si escludono gli aumenti di capitale necessari a evitare l’insolvenza, la Roma è stata pagata quasi un ventesimo di quanto avevano offerto Kerimov e Kolotilin.
Nelle sue brevi dichiarazioni dopo la firma dell’accordo con Unicredit, Di Benedetto dice: «È stata complicata ma non ho
mai pensato di mollare. Ero determinato a superare tutti gli ostacoli». Poi aggiunge: «Il nostro obiettivo è conquistare con
la Roma gli stessi successi che Berlusconi ha centrato con il Milan». Cioè spendendo centinaia di milioni? Non proprio.
«Con l’entrata in vigore delle nuove regole sul fair play finanziario è sempre più importante selezionare giocatori giovani e
sarà difficile andare a prendere i migliori all’estero».
Il calcio per il controllo del territorio
Come potrà combinarsi il quartetto bostoniano con i meccanismi del calcio e, a maggior ragione, del potere italiano è una
partita tutta da vedere. La questione più spinosa è quella dello stadio. Scrivere, com’è stato fatto, che l’immobiliarista Mike
Ruane è entrato nell’operazione Roma per costruire il nuovo impianto, magari all’americana, con i ristoranti e i centri commerciali, è puro cabaret.
Costruire a Roma è come aprire un clan mafioso a Palermo.
Bisogna chiedere il permesso a un sacco di gente irritabile e vendicativa. Avere buone entrature a Washington o duemila
villette in vendita a Fort Myers in Florida non serve a nulla. Ci vogliono relazioni con gli enti pubblici, accordi con i palazzinari
locali e tanta fiducia nell’arrivo della legge bipartisan sugli stadi che da quasi quattro anni arranca in Parlamento
e che la
fine del governo Berlusconi ha rinviato una volta di più. Appena arrivato a Roma da presidente, Di Benedetto ha incominciato il giro delle sette chiese. Ha incontrato Gianni Alemanno, Nicola Zingaretti e Renata Polverini. Poi tutti i
palazzinari che contano e il loro mentore finanziario, Giampietro Nattino di Banca Finnat, membro laico della prefettura
Affari economici del Vaticano.


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