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Bruno Conti: "Il calcio è la mia vita. Vincere lo scudetto è stato indimenticabile"

di Simone Ducci
Fonte: Roma TV

L’ex calciatore giallorosso Bruno Conti è stato il protagonista della rubrica AS Roma Story in onda su Roma TV. Ecco le sue parole.

“A Roma abbiamo un pubblico stupendo. Quando ho segnato in passato mi sono sempre inginocchiato sotto la Curva. Ho sempre dedicato ai tifosi i miei gol. Come ero da bambino? Mio padre si alzava presto per andare a fare il muratore. È sempre stato un padre presente, insieme a mia madre. La mia crescita è stata piena di sacrifici. Da piccolo portavo le bombole di gas in tutte le case. Ecco perché sono rimasto basso, perché pesavano. La mia famiglia mi ha insegnato i valori della vita. Il mio luogo preferito era il bar Nettuno, in piazza. Lì si facevano i tornei e si andavano a vedere le partite. Anche allo stadio comunale mi piaceva andare. Sono sempre rimasto all’interno dello sport, tra il calcio e il baseball. Il baseball? Mi hanno visto giocare e hanno chiamato un dirigente per parlare con la mia famiglia. Sono venuti a casa a parlare con mio padre che gli ha detto che ero ancora molto piccolo per andare in America. In un torneo mi vide giocare l’allenatore in seconda della Roma. Da lì feci un provino e poi fui preso dalla Roma. Il giorno di ritiro si parlava già del mio esordio ma io mi sono sempre nascosto dai giornalisti. Quando poi Liedholm mi fece esordire fui contentissimo. Il gol contro la Lazio? Ci sono delle immagini in cui si vede che mi sono fatto tutta la pista per la gioia. Vincere il derby è una gioia. Il Mondiale del 1982? Non siamo partiti con il piede giusto perché abbiamo fatto inizialmente 3 pareggi non giocando bene. Davanti poi ci siamo trovati Argentina e Brasile contro cui abbiamo fatto le prestazioni che sono ormai note. Ci siamo riuniti e abbiamo fatto un silenzio stampa. Abbiamo dimostrato di essere una squadra difficile da fermare. In un partita al Tre Fontane abbiamo fatto una foto insieme a Falcao e al presidente Dino Viola. Lui ci disse che uno di noi due sarebbe dovuto diventare un campione del mondo. Falcao? Ci eravamo messi d’accordo che ci saremmo scambiati le maglie. Ma il finale è stato deludente per Paulo. Alla fine ci siamo scambiati la maglia senza dirci nulla: l’ho visto molto rammaricato. Ho provato a salutarlo alla fine ma poi ci siamo rivisti al ritiro di Riscone di Brunico. Bearzot? È stato tutto per me, quando mi ha detto che non poteva fare a meno di me mi ha reso orgoglioso. Prima di partire per il Mondiale in Spagna, ebbi un infortunio. Lui vedeva che volevo affrettare i tempi per giocare e mi disse di stare tranquillo perché il posto sarebbe stato mio. Così ho potuto recuperare serenamente. Tornando dal Mondiale volevo subito ripartire per preparare un qualcosa di importante per lo scudetto. L’inizio è stato un po’ difficoltoso. Nell’anno dello scudetto non ho giocato molto bene. Mi sono portato dietro delle difficoltà. La partita contro la Fiorentina? È stata una liberazione perché sono riuscito a fare gol. Il calcio? È stata la mia vita. Ho fatto l’uomo assist. Ho avuto la fortuna di giocare con Pruzzo che era un grande campione. Per il mio gioco un assist era come un gol. Era questo il mio modo di giocare. L’anno in cui sono andato a Genoa, dormivo a casa insieme a Pruzzo. Siamo stati anima e corpo, sempre insieme. Ce ne siamo dati di baci (ride ndr). Ogni volta che faceva gol ci si baciava. Mi sono ubriacato sotto la doccia al Marassi. Ho visto la gente che è entrata in campo per tirare in alto il mister. Quella dello scudetto è stata una festa di un anno. A parte il gol, la cosa bella è stata la compostezza dei nostri tifosi. È stato indimenticabile. Il rapporto con Di Bartolomei? Favoloso. Veniva in ferie vicino a Nettuno. Quando sono arrivato a Roma mi ha aiutato. Era un leader e gestiva tutte le situazioni. Agostino mi conosceva bene e sapeva quando passarmi la palla. Con Ago ho avuto un grande rapporto. Prima del tragico incidente avevamo organizzato una partita per un nostro amico insieme agli altri giallorossi. Il nostro è stato un rapporto di amicizia. La finale di Coppa dei Campioni? È stato un grande traguardo. Abbiamo battuto squadre importanti. Eravamo una squadra forte. Il rammarico è stato quello di averla perso ai calci di rigore. Si diceva che avremmo potuto avere agevolazioni perché l’arbitro era della stessa nazionalità del mister. I rigori sono stati un terno al lotto. In quella partita sbagliai i rigori ma abbiamo dimostrato di essere una grande squadra. Il rigore? Ti assumi delle responsabilità, penso che la gente ammiri anche questo. Liedholm? Non potrò mai dimenticare gli insegnamenti di Liedholm. La prima volta in Prima Squadra lui mi disse di far vedere lo stop di interno e quello di esterno. Ha cominciato a innamorarsi di me. Ci sono stati anche delle discussioni. È stato grande anche a livello umano. Con Eriksson non ho mai mollato, come con Bianchi. La panchina della Roma? Non potrò mai dimenticare che ero a Cagliari quando me lo chiesero. Non potevo dire no. Capivo quello che si sperava tra i tifosi. In quel periodo sono invecchiato di 20 anni. Nella partita contro l’Atalanta mi sono uscite le lacrime perché l’anno è stato delicato. Spalletti? Già si vedeva il suo calcio. Mi sono reso conto di come giocava l’Udinese. Abbiamo fatto una riunione e abbiamo deciso che lui sarebbe stato il profilo giusto per la Roma e così è stato. Abbiamo fatto una tournée in America e abbiamo faticato per fare una foto con Pelé. Quando mi ha detto che ero stato il giocatore migliore dei mondiali sono stato contentissimo. Il settore giovanile della Roma? Sono orgoglioso di quello che ho fatto. Sono stato chiamato per fare il responsabile del settore giovanile. Sono orgoglioso di aver vinto molto con i giovani. Sono contento di aver fatto fare soldi al mio club. Mi piace andare in giro a vedere i giovani. Mi piace il lavoro che continuo a fare. La Curva? Alla Curva darei quello che hanno dato a me: il cuore".    


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