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Bruno Conti: "Liedholm è stato il calcio. La finale con il Liverpool? Rimpianto aver perso in casa. Florenzi mi ricorda il mio inizio"

di Marco Rossi Mercanti
Fonte: Gazzetta TV

Bruno Conti, ex bandiera della Roma, è stato intervistato da Gazzetta TV. Ecco le sue parole:

«Giocare nella Roma? Quello che io e Francesco Totti abbiamo passato sul campo, con tanti sacrifici e altro, ti rendi conto che quando scendi in campo per la Roma dai tutto. L’anno prima dello scudetto ancora dovevo parlare del rinnovo del contratto con Dino Viola. In questo noto ristorante di Roma, io portavo sempre i miei figli dietro e il presidente fece una battuta a mio figlio Daniele e gli disse: “Dove va a giocare papà?”. Daniele rispose: “Va a Napoli con Maradona”. Maradona me lo disse spesso di andare a giocare con lui, ma la Roma è stata una scelta di cuore, avrei fatto un torto a mio padre». 

«Mio padre ha cresciuto sette figli con tanti sacrifici, faceva il muratore, si svegliava alle 4 e tornava alle 7 di sera, penso che sia stata una vita di sacrifici ma non ci ha mai fatto mancare nulla. Da piccolo ho amato sempre il calcio e il baseball. Io facevo il lanciatore ed ero anche molto bravo ed ero mancino, il Santa Monica venne a fare questa tournée e proposero a mio padre di fare un provino, ma lui rifiutò. Il Mondiale? Quando si gioca una finale mondiale non c’è la fatica, poi alla fine segnò Altobelli ed esplose la gioia. Eravamo convinti di fare bene, abbiamo iniziato male, ma poi Brasile, Argentina, Germania, non ci poteva fermare nessuno, nemmeno Cabrini che sbagliò il rigore. Prima di partire per il Mondiale, io, Falcao, Dino Viola e Liedholm facemmo una foto e il presidente ci disse che voleva che uno di noi due diventasse campione. Con Falcao ci abbracciamo senza dire una parola dopo Italia-Brasile, poi ci siamo rincontrati a Brunico per la preparazione ma con Falcao non ho mai parlato di mondiale, solo i compagni qualche battuta».

«Barcellona? È una squadra fenomenale, ci sono dei giocatori che sono dei fenomeni. Nils Liedholm ci faceva allenare più o meno come loro, faceva le stesse cose che fa ora il Barcellona. Poi arrivò la chiamata della Roma quando stavo a Nettuno, volevo giocare a baseball, ma poi arrivò la Roma. Liedholm per me è stato il calcio. Non potrò dimenticare la prima volta che mi chiamò per il primo allenamento in Prima Squadra, mi disse: “Bruno, fai vedere questo esercizio”. Non ci ho capito più niente, è stata la mia vita calcistica, anche a livello umano, lui faceva venire la gente agli allenamenti, però pretendeva che in campo facessimo quello che preparavamo. Ebbi una distorsione poco prima del Mondiale, mi trovo questa distorsione e Bearzot si accorse che volevo affrettare il recupero, ma il ct mi disse che il posto era mio e che non dovevo preoccuparmi».

«La finale contro il Liverpool? Non c’è il rimpianto per il rigore, il rigore lo sbaglia chi lo tira, è il fatto di sapere che abbiamo giocato in casa e perso contro un grande Liverpool. Chiaramente, quando si perde in una competizione del genere, non è facile. Il prestito al Genoa? Gigi Simoni mi volle, grande uomo. Quell’anno la squadra fece grandi acquisti per salire subito in Serie A. Pruzzo? Dividevamo l’appartamento insieme, Pruzzo lo chiamavano Brontolo perché si lamentava sempre, però quando giocava era il bomber. Perché ho scelto le giovanili? Perché a me piaceva allenarli, ho cresciuto tanti ragazzi dell’80 e poi con Sensi abbiamo deciso di rivalutare la mia mansione e ho deciso di dedicarmi tutto ai giovani. Il segreto della Roma? Il vivaio si valuta anche dalla prospettiva che ti dà il ragazzo. Dico spesso che i rapporti umani sono più importanti dei soldi, bisogna porsi con i ragazzi in una certa maniera, anche con coloro che hanno poche possibilità economiche. Si fa un discorso di crescita per il ragazzo e si cerca di andare incontro alle famiglie. Oggi c’è tanta esasperazione, ci sono i procuratori che fanno il lavaggio del cervello, gli mettono in testa il guadagno facile, i vari Totti, De Rossi hanno fatto tutti la loro trafila. Già agli Allievi Nazionali ti rendi conto se uno è forte, poi occorre la testa, il calcio è anche sacrificio, non è solo bravura, serve la testa. Devi avere intorno a te ragazzi bravi, qui si parla di AS Roma per portare avanti questi ragazzi».

«Totti? Il papà di Giannini lo prese dalla Lodigiani ed ebbe l’occhio lungo. De Rossi? L’ho portato io, non Alberto (il padre di De Rossi), avevo uno staff importante e mi sono trovato dei ragazzi come De Rossi, Aquilani, Bovo che presi e portai alla Roma. Florenzi? Quando lo prendemmo mi ha fatto tornare indietro nel tempo con me, vedevo questa tigna e questa voglia che aveva. C’era tanto scetticismo nei suoi confronti, invece ora mi ha dato una soddisfazione incredibile. La Lazio? I laziali mi vogliono bene, ha contribuito la Nazionale indubbiamente. A 60 anni mi arrivano le foto con la maglia della Nazionale, qualcosa ho lasciato alla gente. Quello che ti sei creato difficilmente viene dimenticato».

 


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