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Cesar Gomez: "Su di me leggende metropolitane: non vendevo macchine e non ci fu alcun equivoco sul mio acquisto"

di Marco Rossi Mercanti

L'ex giallorosso Cesar Gomez, una presenza in un derby della Capitale ai tempi della prima avventura con Zeman, ha parlato all'AS Roma Match Program:

Ma le cose non andarono per il verso giusto in quel derby.
“Sul campo proprio no. E pensare che non iniziammo nemmeno tanto male la partita. Loro restarono in inferiorità numerica nel primo tempo dopo una decina di minuti. Favalli fece fallo su Tommasi e prese il rosso diretto. Poteva essere un segnale per vincere, ma poi ci disunimmo e uscì la qualità dei loro attaccanti. Segnarono tutti i gol nel secondo tempo. Vinsero loro 3-1, finì così”.

Se ci ripensa a distanza di 23 anni, quasi?
“Non ho ricordi tutti negativi di quella serata, anzi. L’atmosfera di questa partita nello stadio è unica. Mai vissuta una cosa del genere in carriera, in vita mia. Una tifoseria, quella della Roma, unica. Quando entri a far parte della famiglia romanista, resti giallorosso per tutta la vita. Anche se nel mio caso non andò tutto come avrei immaginato”.

Cosa non funzionò?
“Dopo quel derby non giocai più. E non do colpe specifiche a qualcuno, sono cose che nel calcio possono capitare. Zeman fece le sue scelte e le rispettai. E io nutro tuttora stima per il tecnico boemo. È stato uno dei migliori incontrati in carriera. Mi fece capire che nel calcio non si è mai arrivati e si è sempre in tempo per imparar e, anche a 29 anni quando fui preso. C’è pure un altro fatto da non sottovalutare...”.

Ovvero?
“Il fatto che allora i giocatori spagnoli in Italia facessero tutti molta fatica ad ambientarsi. Non era tanto una questione di abitudini quotidiane, che sono molto simili alle nostre, quanto ad una difficoltà di adattamento alle metodologie di allenamento italiane, molto più intense rispetto a quelle spagnole, e pure per una questione tattica. Con il tempo, poi, e l’evoluzione del calcio spagnolo, queste difficoltà sono venute meno per i giocatori che vanno in altre leghe. Ma all’epoca era diverso, non a caso quell’anno nella rosa della Roma c’era anche Ivan Helguera e pure lui non andò bene. Parliamo di uno che nel Real Madrid dei Galacticos negli anni successivi avrebbe giocato sempre e vinto tutto”.

Torniamo a lei, nonostante il contratto pluriennale che firmò, non ebbe altre possibilità di impiego sul terreno di gioco. Ma restò sempre nei ranghi della rosa.
“Esattamente. Infatti il mio problema era più con il presidente Sensi e la società che c’era allora, piuttosto che con gli allenatori che si avvicendarono. Per dire, Capello mi parlò quando arrivò nel1999, tanto che comparii pure sulla foto ufficiale della stagione 1999-2000, ma pure lui fece altre scelte”.

Che problema ebbe con il club?
“Nell’estate del 1998 ci furono alcuni discorsi per tentare di tornare a giocare in Spagna, Zeman pure mi consigliò di trovare una soluzione in questo senso. Ma non si trovò l’accordo definitivo. Volevano che andassi a giocare in Turchia, ma io rifiutai. Ero comunque nella facoltà di prendere una decisione del genere. Non potevano certo costringermi”.

Nel suo periodo romano, ad un certo punto, si diffuse in città una voce.
“Quella che io vendevo macchine, vero?”.

Arrivò anche a lei, allora.
“Certo, come no... (ride, ndr)”.

Era vero o no?
“Ma assolutamente no... Sinceramente, non so come e perché si sparse questa leggenda metropolitana. In tanti erano convinti di questo e pure di un’altra cosa, sempre legata al mio trasferimento alla Roma...”.

Quella dell’acquisto sbagliato su indicazione di Zeman, l’equivoco Paz-Gomez? Il tecnico chiese un difensore con la Z del Tenerife che affrontò in Coppa UEFA, salvo poi prendere quello sbagliato.

“Proprio quello. Un’altra falsità. Alla Roma c’erano operatori di mercato e dirigenti professionisti. Sapevano il fatto loro, sapevano chi sarebbero andati a prendere. E poi, Pablo Paz era la riserva mia e di un altro calciatore che si chiamava Antonio Mata. È vero, in quella partita di coppa contro la Lazio giocammo io e Paz, ma non ci fu alcun equivoco...”.

Consideri che negli anni successivi in questa città sono nate leggende metropolitane anche su altri calciatori della Roma, senza entrare nel merito.
“Guardi, le dico, per me non sono negative queste storie. Sono divertenti. E fanno capire che quanto la città sia innamorata della sua squadra di riferimento. Con tutti gli eccessi che un sentimento porta. A Roma c’è la Roma. Ed è un connubio meraviglioso”.

Farebbe altre scelte per la sua carriera, a distanza di tempo?
“No, assolutamente. Mi ritengo un privilegiato per aver indossato quella maglia e aver conosciuto una tifoseria del genere. A Roma sono stato benissimo, ho vissuto in una città meravigliosa. Abitavo nel quartiere di Quarto Miglio, vicino l’Appia Antica, nella stessa abitazione che era stata anni prima di Abel Babo. Quando posso torno spesso con mia moglie. Lei se potesse si trasferirebbe a Trastevere domani. E poi, ho lasciato tanti amici”.

E la Roma?
“La seguo e la sostengo a distanza ogni volta che mi è possibile, in base pure ai miei impegni lavorativi”.

Di cosa si occupa oggi?
“Sono un intermediario di mercato in Spagna e poi ho avuto modo di organizzare un torneo per ragazzi che mi dà tante soddisfazioni, la IscarCup”.

Vedrà Roma-Lazio?
“Sono già in clima derby...”


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