Conti: "Quando ho smesso ho scelto di non abbandonare questi colori, forse altri due anni potevo ancora farli"
Fonte: La Gazzetta dello Sport - Sky Sport - Roma Radio
Bruno Conti, in occasione dei sui 60 anni, è stato intervistato da La Gazzetta dello Sport:
Come sono stati i primi 60 anni?
«Unici. Con un sogno, il mio. Da piccolo d’inverno giocavo a calcio e d’estate a baseball. Adoravo Alfredo Lauri, un lanciatore del Nettuno. Al Santa Monica mi volevano. Ma il calcio mi ha permesso di rendere felice mio padre, tifosissimo giallorosso. Una gioia. Proprio come mia moglie Laura».
Simoni, Liedholm, Eriksson, Radice e Bianchi, i suoi tecnici: cosa prenderebbe da ognuno di loro?
«Dal Barone tutto: la cultura del lavoro, i rapporti e il dialogo. Di Radice il carattere incredibile. Eriksson era garbato, timido, anche se con lui ho avuto qualche problemino. Di Bianchi niente per tanti motivi. E Simoni mi ha valorizzato: stupendo, un padre di famiglia».
Più dolci le lacrime per il Mondiale o più amare quelle per la Coppa Campioni?
«La Nazionale è già gioia, vincere un Mondiale con una persona come Pertini fu fantastico. Il Liverpool una mazzata incredibile, il rimpianto di 60 anni».
Anzalone, Viola, Ciarrapico, i Sensi. Che le viene in mente?
«I miei presidenti, ma Ciarrapico lo tolgo. Anzalone mi aprì la carriera con il cuore in mano. Poi il grandissimo Dino Viola, indimenticabile. Al di là dei rapporti avuti con i Sensi».
Ha vissuto tre grandi capitani: Di Bartolomei, Giannini e Totti. Chi è stato il più umano?
«Monumenti ed esempi di amore, ma quello che ho visto fare a Totti fuori dal campo non lo ha fatto nessuno. Ago era un leader, ci metteva la faccia. Come il Principe. Ma Checco è speciale, un fenomeno».
Sky Sport ha intervistato Bruno Conti nel giorno del suo compleanno:
“60 anni, ma sono contento e orgoglioso, anche non allenandomi il fisico regge (ride n.d.r.)
Hai ricevuto tanti messaggi di auguri da tutto il Mondo.
“Piano piano risponderò a tutti, li ringrazio. La mia più grande soddisfazione è stato riceverli dalle persone con le quali ho avuto incomprensioni. Continuo a fare il mio lavoro con grande professionalità”.
Responsabile settore giovanile della Roma. Qual è il consiglio che dai ai ragazzi?
“Ho a che fare con più di 200 famiglie e ragazzi. L’importante è far capire che il calcio è uno sport e prima viene la scuola, poi il calcio. Nella vita per arrivare ci vuole tanto, ma per smettere ci vuole poco.
I Consigli di Bearzot?
“Mi parli di persone che al di là della professionalità sono stati grandi personaggi. Mi ha sempre stimato e dato consigli importanti. Prima del Mondiale ero infortunato, mi è venuto vicino e detto: “Bruno tranquillo il posto è tuo”.
Pertini?
“Vedere un personaggio di grande umiltà, incoraggiarci, ci ha portato avanti fino alla fine. È la dimostrazione di quel gruppo che poi ha vinto il Mondiale. Sul mio status Facebook ho la foto di Pertini questo fa capire cosa ha rappresentato per me”.
Paolo Rossi?
“Inutile parlare di lui come calciatore. Ha ricevuto tutti i premi, ma in quel Mondiale ha fatto 10 metri, chi si è fatto il mazzo sono stato gli altri (ride n.d.r.)”.
Il soprannome Marazico?
“Me lo hanno dato i miei amici di Nettuno. Fecero uno striscione con scritto per il Mondo sei Conti per noi Marazico”.
Pele e Maradona?
“Sentire Pele nominarmi migliore giocatore di quel Mondiale è stata una cosa meravigliosa. Quando fece un’amichevole a Roma coi Cosmos ricordo facemmo la fila per farci una foto con lui. Maradonaogni volta mi diceva vieni a Napoli, lo ricordo con grande affetto”.
Niels Liedholm?
“È stata la mia vita calcistica, interpretava il calcio a modo suo. Ti faceva divertire. Il mio primo allenamento con la prima squadra, prima dell’esercitazione disse Bruno fai vedere questo esercizio. Devo tutto a lui perché dopo il secondo anno a Genoa è stato quello che ha lottato per portarmi a Roma.
Totti e De Rossi?
“Il rapporto con lui è stupendo, siamo cresciuti insieme. Feci stage estivi per la Roma e in quell’anno sono riuscito a selezionare Daniele, Aquilani e Bovo. Gli voglio un bene matto. Francesco è la Roma. Per la sua grande umiltà e la sua professionalità guai a chi lo tocca”.
Bruno Conti è stato intervistato anche su Roma Radio. Queste le sue parole:
Il baseball?
"La fortuna era quella che ci giocavo solo in estate, mentre d'inverno giocavo a calcio. Mio padre mi spinse a seguire la strada del pallone, mentre sarei potuto finire a Santa Monica e avere una vita molto diversa. Non ti nascondo che mio padre era sempre stato tifoso della Roma: sono orgoglioso di quanto ha fatto per la mia famiglia e sono contento di avergli dato questa soddisfazione, vestire la maglia giallorossa".
Gli inizi della carriera?
"Il primo anno con la Primavera esordii in Serie A, ma nel Genoa poi mi feci le ossa. Fu un anno importante, lì cominciarono a scoprire il vero Bruno Conti".
Dino Viola?
"Difficile dimenticarlo, come donna Flora. Lui fu l'artefice dello Scudetto 1982/83, non trascurò mai nulla e stava sempre con noi. Sapeva i risultati della Primavera, gestiva tutto e non gli sfuggiva niente".
Liedholm?
"Lui mi ha voluto a tutti i costi, mi ha riportato alla Roma quando ero al Genoa. Gli devo molto ma non solo per quello: i suoi consigli erano preziosi, da tutti i punti di vista, calcistico e umano. Il rapporto con il gruppo era particolare. Una volta in ritiro ci disse che aveva chiuso la porta a chiave perché aveva paura che le donne entrassero anche in camera sua".
Agostino Di Bartolomei?
"Il mio grande capitano, lo conoscevo da quando ero più giovane. Mi ha dato tanti consigli, mi ha insegnato tantissime cose, il vero leader era lui, è sempre stato così. Oggi potrebbe fare di tutto, era sempre in prima linea come capitano. Quando arrivò la notizia della sua morte fu un colpo durissimo, inaspettato".
Il nipote?
"Sì, promette bene il figlio di mio figlio Daniele: fa scuola calcio a Cagliari ed è stata una sorpresa la scelta di chiamarlo Bruno. Anche lui col destro non ci fa proprio nulla...".
La fine della carriera?
"Quando ho smesso la scelta è stata quella di non abbandonare questi colori, forse altri due anni potevo ancora farli. Poi cominciai con i ragazzini, questo lavoro mi piaceva e mi piace davvero. Ho ancora un legame con i ragazzi che sono cresciuti qui e che sono andati in ottime squadre: sanno che possono contare sempre su di me".
Settore giovanile?
"Trigoria è come una famiglia, soprattutto per i ragazzi che la famiglia ce l'hanno lontana. Io ringrazio davvero tanto la società, che ci mette a disposizione tutto questo. Bisogna saper organizzare le cose nel modo giusto, dagli istruttori agli studi, il calcio è esasperato e vorremmo dar loro altri valori in cui crediamo".