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De Rossi al "Trigoria Night Show": "L'unica cosa che mi vedo in grado di fare è l'allenatore. I giocatori passano, la Roma va sempre avanti"

di Andrea Cioccio

Daniele De Rossi, capitano della Roma, è stato protagonista al "Trigoria Night Show" di Roma Tv, intervistato da Simone Conte. Ecco tutte le sue parole:

Conosci bene Trigoria…
"Avevo 11 anni, ne sono passati 24. Sono cambiate tante cose per fortuna, è molto bella adesso".

La prima volta che sei entrato a Trigoria?
"Sono entrato da un altro cancello, dove entravano i bambini. Abbiamo preso il materiale d’allenamento, te lo danno e te lo lavi da solo. Mi ricordo la camminata all’indietro, guardavo tutti i campi in erba, le cose della Roma. Era estate, iniziavamo la preparazione. Ho rifatto le stesse cose per tanti giorni ma quello è stato uno dei giorni che ricorderò per sempre".

Da 11 a 17 anni, c’è stato un momento in cui hai detto “Farò questo lavoro”?
"È arrivato dopo, almeno per me. Adesso è un po’ cambiato, i ragazzi di 12-13 anni hanno il profilo social con il logo depositato e non so quanti milioni di followers. Da noi non avevi la percezione che saresti potuto diventare un campione perché eri un bambino, avevi fatto delle cose buone prima, io all’Ostia Mare, ma come arrivi qui ti rendi conto che sono forti tutti come te, la competizione aumenta e non c’era quello sbocco mediatico che ti poteva far pensare “Mamma mia mi sa che sto diventando un calciatore".

Dove dormi di solito?
"Sopra a voi giornalisti, è cambiato tutto".

Quante volte avete dormito qui a Trigoria?
"Anche questo è cambiato tantissimo, abbiamo cambiato tanti allenatori che la pensavano diversamente: Spalletti non faceva ritiri, neanche Di Francesco l'anno scorso. Invece altri allenatori ti portavano in ritiro il sabato mattina se si giocava la domenica sera. Passavi più tempo qui. Anche Luis Enrique non ha mai fatto un ritiro".

Rapporto con Luis Enrique?
"Gli voglio molto bene, è stato bello conoscerlo e conoscere un calcio diverso, era divertente. Lui puntava al divertimento per raggiungere la vittoria".

In quali anni ti sei divertito di più?
"Non sono stati tutti uguali, diciamo che in questi ultimi mi sto divertendo di più, perché sono cambiato io, ho una maturità diversa e vedo il calcio in maniera diversa rispetto all'inizio. So che passano sia i momenti molto buoni, sia quelli negativi, quindi ho imparato a viverla meglio questa situazione e soprattutto questa squadra, perché è la squadra che ti leva tanta energia mentale".

Su di te sono state inventate tante storie negli ultimi 15 anni.
"E forse qualcuna sarà pure vera, ne hanno inventate talmente tante (ride, ndr). Nessuno però ti dice niente in faccia, il mio essere in una certa maniera mi ha creato un distacco con parecchia gente di questa città, ma allo stesso tempo ha creato un legame forte con un'altra fetta di romani che mi vogliono veramente bene. Intendo romani come cittadini di Roma, non solo romanisti. Si sopravvive, perché alla fine possono inventare di tutto, ma in campo ci vado e posso dire che ho sempre giocato abbastanza bene, e ho fatto capire di essere importante per questa squadra, ma soprattutto ho deciso di dimostrare qua quanto ci tengo".

603 presenze. Se potessi tornare indietro e giocare una partita?
"Dico sempre la stessa, Roma-Sampdoria del 2010. Magari metterei marcatura a uomo su Pazzini. Era la partita che poteva darci quel trionfo che ci meritavamo. Ma magari ne avremmo sbagliato un'altra, non si può sapere. O meglio, potevamo anche vincerne altre in più e non avere bisogno dei tre punti con la Samp. Anche in diverse altre stagioni avremmo potuto alzare qualche trofeo, magari vincendo alcune partite di aprile o marzo che sono sembrate meno importanti di quella. La stessa Liverpool-Roma, che avevamo iniziato benissimo e che è finita con uno scarto importante, poteva finire in maniera diversa".

Un momento che vorresti rivivere?
"Non lo so, io quando finisce ogni partita vinta dico: "Ma quanto è bello vincere?". Dopo una vittoria passano tutti i dolori e i problemi".

La criosauna?
"È cambiata anche questa, una volta ti buttavi in una vasca piena di ghiacio e basta. È una roba che preghi, piangi... ci devi stare 3 minuti, l'altra è proprio tremenda, guardi quanto manca e vedi 2 minuti e 50, poi riguardi e sono 2.45 e ti sembra che è passata un'ora. Serve? Sembra di sì (ride, ndr), non lo so, alla fine mangi bene, dormi abbastanza, ti alleni bene, fai prevenzione. Questa è un qualcosa in più sicuramente".

Forse anche queste cose aiutano ad allungare la carriera.
"Sì, non solo, ma sicuramente non è il calciatore che si allunga da solo la carriera. Io sono cambiato tanto, radicalmente. Non che prima facessi cose strane come discoteche, ore piccole, però ci stai proprio più attento, sai quando puoi fare cosa e quando no, quando puoi sgarare e quando non puoi. Tutto poi te lo ritrovi, non è un caso che sto facendo così bene negli ultimi anni, ho avuto più cura anche nelle piccole cose, perché ripeto, sono sempre stato un professionista serio, ma adesso ho più conoscenze del mestiere".

Che ne pensi dei social, in particolare di Instagram?
"Ho fatto un mio profilo, privato, che conoscono solo pochi amici, perché mi piace. Ogni tanto lascio un commento, perché è normale. Non sono un grande amante dei social, anche se sono circondato da persone che ne fanno molto uso, come mia moglie, mia figlia. Non critico il social in sé, ma critico il fatto che diventi una ragione di vita. In ogni allenamento tutti entrano in campo pettinati, lucidi, perché ti fanno le foto che poi finiscono sui social. Io quando la mattina ci alleniamo alle 10 entro con le caccole agli occhi, spettinato, perché l'importante è allenarsi bene. Non dico che i giovani non la pensino così, dico che ogni tanto pensano troppo ad apparire".

Quando smetterai di giocare ho il problema di non avere più calciatori che siano più grandi di me.
"Comincia ad abituarti all'idea perché non manca molto (ride, ndr). Tanti dicono per strada: "Ha smesso Francesco, se smetti anche tu siamo rovinati", ma la Roma va avanti, è andata avanti dopo Di Bartolomei, dopo Bruno Conti, dopo Giannini, dopo Falcao, dopo le peggiori partite perse e le peggiori delusioni. Stiamo andando avanti anche senza Francesco, forse la cosa più dolorosa per un tifoso della Roma, figuratevi se non si può superare il post carriera del sottoscritto".

Il tuo post carriera?
"Sono molto volubile. Se mi fa male il ginocchio per cinque giorni di seguito, penso che voglio smettere e dico a mia moglie che questa estate ce ne andiamo in vacanza per tre mesi, perché non si può sentire dolore tutti i giorni. Appena sto bene, penso subito alla prossima gara, la Spal poi il Cska. Sono volubile da questo punto di vista come lo sono tutti i calciatori. Ma sono coerente, non voglio fare figuracce, non voglio essere un peso, non voglio essere qualcosa che toglie, per ora non lo sono. Ho già le idee chiare sui prossimi anni. Non lo dico mai, lo tengo per me, in questo caso sono egoista e mi tengo la libertà di poter cambiare idea".

Hai sempre detto che quando il corpo ti dirà determinate cose, capirai…
"Il mio corpo me le sta dicendo, ma finché non si vede in campo ed è un discorso di fatica fisica nel reintegrarsi dopo tre giorni che hai giocato una partita, lo accetto tranquillamente. Quando vedrò che dopo tre giorni che ho giocato i dolori saranno talmente tanti che in campo andrò più piano del centrocampista che ho di fronte o accanto, quello è il momento di alzare la mano e sono sicuro che tanta gente mi riconoscerà l’impegno che ho sempre profuso per questo gioco".

Farai l’allenatore?
"Ho grande passione per questo sport, per questo lavoro. L’unica cosa che mi vedo in grado di fare è l’allenatore. Dovrò capire se avrò quella voglia di sottoporre la mia famiglia allo stress dei risultati, del cambiare città, della lontananza o se ti seguiranno, avranno un papà che sta sempre in ritiro. Questo mi spaventa, dopo 24 anni di questo lavoro, farne altri 24 a questi ritmi. A oggi non so quante altre cose so fare, dovrei studiare, non mi spaventa, dovrei scoprire altre passioni. Rimanere nel calcio mi sembra una cosa logica, poi si vedrà. Devi anche essere capace, conoscere il calcio e riconoscerlo, una cosa che mi attribuisco anche quando vedo una partita, vuol dire tutto tranne saper essere un bravo allenatore. Un allenatore deve fare molto altro, deve fare tutta un’altra serie di cose non sempre legate al cambio, alla formazione o all’allenamento. È un lavoro complesso e non ho la presunzione di dire che sarò capace. Dovrò imparare, ma un po’ di passione ce l’ho".

Se non avessi avuto il dono di giocare a calcio, hai mai pensato a che vita avresti fatto?
"Le nostre vite sono talmente condizionate da questo lavoro sin da quando siamo piccoli, che non sai che sbocco avrebbe potuto avere la tua carriera scolastica o quella facendo un altro lavoro. Mi piacciono le lingue e viaggiare, ho un amico con un’agenzia di viaggi e lui va a conoscere realtà che temo io non vedrò mai, specialmente se continuerò a fare questo lavoro, non avrò il tempo materiale per andare a visitare ogni paese che mi piacerebbe andare a vedere".

Il primo della lista di quelli che vorresti visitare?
"Ce ne sono diversi, gran parte del Sud America. Argentina, Buenos Aires, c’è un turismo legato al calcio. Andare a La Bombonera a vedere Boca-River, l’ho sempre detto. Ma anche andare a vedere il Super Bowl, un po’ di football americano che è il mio grande amore. Sud America ma anche Cina. Sono andato in Giappone e sono rimasto totalmente innamorato, mi piacerebbe scoprire quella parte del mondo".

Ti hanno detto qualcosa per i tatuaggi in Giappone?
"Hanno avvisato che non erano tutti molto d’accordo. Abbiamo chiesto prima per evitare brutte sorprese, ci hanno detto dove non c’erano problemi e dove era il caso di coprirsi. Siamo ospiti, si va con i piedi di piombo e grande rispetto per le tradizioni. La gente anziana non accetta molto i tatuaggi perché in passato erano legati ai mafiosi, alla Yakuza. Non sembro un mafioso (ride, ndr)".

Prima maglia che hai scambiato?
"Mi ricordo 2-3 giocatori che mi hanno detto di no a 19 anni. A fine partita gli ho chiesto la maglia e mi hanno detto che non potevano farlo. Un paio di italiani che mi piacevano tantissimo e facevano il mio ruolo che mi hanno detto di no. Ho scambiato la maglia con Gerrard, mio idolo storico. Non ho giocato contro Roy Keane ma mi sarebbe piaciuto tanto scambiare la maglia con lui o fare un paio di contrasti alla maniera sua o alla maniera mia. Contro Gerrard vincemmo i quarti di finale dell’Europeo, festeggiamo perché avevamo vinto ai rigori. Scesi nel sottopassaggio dello stadio di Kiev e lui era lì che mi aspettava e che mi doveva dare la maglia. Sono piccole cose che cerco di imitare per essere disponibile, ci sono i ragazzi della Primavera che sono cresciuti guardandomi giocare e magari mi chiedono la maglietta. I magazzinieri sanno che devo arrivare con le buste con la scorta di magliette per tutte le partite per lasciare un ricordo come Gerrard. La cosa bella di questo lavoro è che mi sono venuti a chiedere maglie giocatori che ci fanno divertire, giocatori a cui non l’ho chiesta perché mi vergognavo. Sono quelle piccole cose che, soprattutto per chi non ha vinto tanto come me, ti lasciano un ricordo piacevole, anche se magari questi giocatori durante la partita ti hanno fatto 3-4 gol".

Come stai?
"Quando guarisco, guarisco, non saprei fare dei pronostici sul rientro. È una frattura, quando guarisce guarisce".

Ironia della sorte, se lo rompe Kolarov e tu ne parli. Te lo rompi tu e non dici niente…
"Lì per lì non ho sentito un grosso dolore, era il sesto minuto quando mi sono fatto male, ma nel secondo tempo il piede era già gonfio. Ho capito che qualcosa si era rotto, ma la partita era in bilico ed era abbastanza difficile, in questo momento sono abbastanza delicate e importanti e c’è bisogno di tutti. Un motivetto che mi ripeto in testa è “Goditi ogni domenica, preparala al 200% e sarai soddisfatto, uscirai a testa alta“. Una cosa che mi hanno sempre riconosciuto anche quando le cose andavano male, prima potevi giocare bene e fare 1000 chilometri ma se perdevi eravamo tutti mercenari e indegni. Ogni tanto quest’anno, forse perché sono vecchio e faccio pena, mi è stato riconosciuto il fatto di fare buone prestazioni".

Sulla vittoria con la Lazio…
"Sono meccanismi che scattano. Dopo il Frosinone e vincendo il derby si è creata un po’ più di convinzione in noi stessi, anche chi zoppicava a livello di prestazioni è rifiorito in un secondo, basti pensare a Lorenzo Pellegrini. Dal momento in cui ha fatto il colpo di tacco è nato un giocatore nuovo e ci auguriamo rimanga così per 20 anni e con la stessa maglia. Il calcio è lavoro, è preparazione e tecnica, nei momenti negativi bisogna sostenere i giocatori, si dice “tifiamo solo la maglia“, i giocatori vanno sostenuti perché se sono supportati giocheranno meglio".


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