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Di Francesco: "Dopo la semifinale di Champions non avrei dovuto accettare il mercato successivo. Il calcio è senza memoria"

di Emiliano Tomasini

Eusebio Di Francesco ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport. Questo un estratto delle sue parole.

Dalla semifinale di Champions allo stop. Il calcio è senza memoria?
«Sì, ma fa parte del gioco. Comunque quando, come nel mio caso, un allenatore non fa bene per poco più di trenta partite – fra Samp, Cagliari e Verona – è anche perché non ha avuto modo di dare continuità a un lavoro. Comunque non sfuggo dalle mie responsabilità. Tra l’altro, è stato detto che io ero legato al denaro, invece le dico che alla Samp – dove volevo andare via già alla seconda giornata perché non ero d’accordo con le scelte – si è parlato di esonero, mentre ho rescisso, lasciando quasi due anni. Stessa cosa ho fatto a Cagliari, perché i progetti non erano stati rispettati: ho fatto togliere una clausola rescissoria da 3 milioni. A me piace allenare con le persone giuste».

Torniamo alla sua Roma dimenticata: stupito?
«Diciamo che c’è un po’ di rammarico. Non ho rancore, ma solo voglia di rimettermi in gioco. In fondo ho anche portato il Sassuolo in Europa League. Tornando alla Champions coi giallorossi, la “remuntada” col Barcellona non nacque in una settimana, ma da un percorso. La mentalità europea è quella che mi piace».

Si è detto che lei è stato troppo aziendalista, accettando di farsi smantellare la squadra.
«Io sono abituato a lavorare con quello che ho, anche se a volte si può sbagliare. Non ero d’accordo con quel mercato. Però sono stato io a lanciare Zaniolo, quando dei club non lo volevano neppure in prestito. Invece lo feci esordire col Real Madrid per fargli capire che credevo in lui. Un po’ come ho fatto con Berardi».

Che lei voleva alla Roma
«Le racconto un retroscena. Dopo il no di Malcolm, volevamo prenderlo, ma lui ci disse: “Non voglio essere una seconda scelta”. Oltre a essere un ragazzo straordinario, Domenico dimostrò di avere anche le palle».

Ma è vero che per lei la gestione Monchi è stata un disastro?
«Sono generalizzazioni. Certo, il secondo anno il nostro rapporto è cambiato. Si era logorato qualcosa e io mi sono fatto un po’ da parte, invece dovevo andare a sbattere con le mie idee».

Le piace la gestione Friedkin?
«Molto. Ho gioito per la Conference e mi è piaciuto il mercato. È stato fatto con criterio. La Roma è costruita bene come identità tattica. Per me può togliersi soddisfazioni. Con l’Atalanta non meritava di perdere. La cosa più bella è l’entusiasmo che si è ricreato. L’Olimpico pieno spinge tanti. Anche nell’errore c’è un applauso in più. Prima se si perdeva era una tragedia, ora se ne parla con positività, che fa bene alla squadra. Ma prima c’era del malumore verso i vertici del club, per il poco legame che si era creato».

Ora che progetto può sedurla?
«Uno in Italia oppure in Spagna, dove si gioca il 4-3-3 o il 4-2-3-1 che piace a me, anche nella mentalità. In passato, ad esempio, mi voleva il Siviglia».

Se potesse tornare indietro che cosa non rifarebbe?
«Dopo la semifinale di Champions con la Roma, non avrei dovuto accettare il mercato successivo. All’interno l’ho detto, ma il mio carattere mi ha portato a non dirlo pubblicamente. In questo Mourinho è un grande. Ma mi creda, proverò a migliorare anche in questo».


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