.

Mangone: "Mourinho si è calato nella realtà Roma. I Friedkin hanno le idee chiare"

di Marco Rossi Mercanti

Amedeo Mangone, ex difensore campione d'Italia con la Roma nella stagione 2000/2001, ha parlato ai microfoni del sito ufficiale del club:

Il 17 giugno scorso sono stati 20 anni da quella storica vittoria. Vi siete sentiti tra ex compagni di squadra? 
"Sì, ci siamo scritti, abbiamo ricordato quei momenti. Alcuni si sono potuti anche riunire a casa di Candela per una rimpatriata. Non tutti, però. Con le limitazioni, il momento che stiamo vivendo e il fatto che molti fossero stranieri, non è stato possibile presenziare al completo. Ma ci scambiamo messaggi di frequente, abbiamo una chat su Whatsapp".

Quali furono i segreti di quel trionfo? 
"Ci furono tante componenti che andarono per il verso giusto. L’allenatore, Fabio Capello, riuscì a capitalizzare il lavoro della stagione precedente, mettendo dentro la formazione titolare tre elementi di assoluto valore come Samuel, Emerson e Batistuta. Uno per reparto. E continuò con l’assetto difensivo con tre centrali. La squadra era fortissima. Inoltre, a mio avviso, un altro paio di fattori furono decisivi".

Ovvero? 
"Il primo, lo scudetto della Lazio. Quel titolo lì, conquistato all’ultima giornata, dai rivali cittadini, ci portò inevitabilmente a dover competere per forza per le prime tre posizioni. Avevamo i mezzi per farlo, dovevamo farlo. Non ci potevamo nascondere più. Poi la contestazione che ci fu a Trigoria dopo l’eliminazione in Coppa Italia ad opera dell’Atalanta. Specifichiamo, certe manifestazioni non dovrebbero mai esserci, soprattutto se superano i limiti della civiltà. Tuttavia, in quella circostanza capimmo il messaggio dei tifosi. Capimmo cosa volevamo e che era tornato il momento di vincere qualcosa di importante. Lo scudetto dopo 18 anni. Mi auguro che la Roma possa tornare presto ad ottenere vittorie di questo tipo".

Il Club e un tecnico come Mourinho stanno lavorando in questo senso. 
"Vero. Il nuovo proprietario sembra una persona molto quadrata, con idee chiare. Il tecnico portoghese lo conosciamo bene tutti. Ha carisma, storia, vuole mettere le basi per vincere in futuro. Ha detto a più riprese che serve tempo per arrivare a certi livelli e ha ragione. Ma sta dimostrando da subito di essersi calato perfettamente in una realtà come quella di Roma. Sta facendo cose buone, anche dal punto di vista tattico. Il cambio di sistema di gioco, passando a tre dietro, è un segno di intelligenza per mettere nelle migliori condizioni i calciatori”.

Allenatore vincente che decide di giocare a tre in difesa. Non le sembra un déjà vu di una ventina di anni fa? 
"Già, come detto anche in precedenza, Capello all’epoca adottò questa formula soprattutto per sfruttare al meglio le caratteristiche di due giocatori fortissimi come Cafu e Candela sulle fasce, dando loro libero sfogo e permettendo di avere uomini in più nell’area avversaria. Io il primo anno formavo la linea difensiva titolare con due fuoriclasse come Aldair e Zago".

Cosa ha rappresentato per lei giocare nella Roma? 
"Tantissimo, tutto. A Roma, nella Roma, ti rendi conto cosa significa fare il calciatore. Ti fa sentire importante. Soprattutto dopo le vittorie".

Chissà come si sarà sentito allora dopo il derby del 21 novembre 1999, in cui vinceste 4-1 segnando quattro gol in 31 minuti. E due assist – per i gol di Montella – furono proprio i suoi. 
"Che giornata, quella. Particolare, intensa, bellissima. A cominciare dal riscaldamento sotto la curva Sud prima della partita. Cosa che non avevo mai fatto in carriera. Un’atmosfera da brividi, da vivere. Battemmo una squadra fortissima, che poi avrebbe vinto il campionato. Anche se, me lo lasci dire, uno dei due assist fu abbastanza fortunoso".


Altre notizie
PUBBLICITÀ