Monchi: "Quando ho parlato con Totti mi tremavano le gambe. La mia filosofia è di stare nello spogliatoio"
Fonte: El Pais
Il direttore sportivo della Roma, Monchi, ha parlato al quotidiano spagnolo El Pais nei giorni precedenti alla gara di Champions contro l'Atletico Madrid.
La volevano PSG e Manchester United. Perché ha scelto la Roma?
“Perché mi ha permesso di continuare a essere Monchi, di lavorare come ho sempre fatto. Ero convinto, e il tempo mi ha dato ragione, che la Roma avrebbe potuto consentirmelo. Era il punto fondamentale. Non mi interessavano i soldi, né il nome del club e non mi sono sbagliato”.
Si è parlato anche del Barcellona...
“In Spagna non ho avuto un contatto diretto come l'ho avuto con altri club europei”.
In Italia è chiaro che tipo di squadra siano Juve e Napoli ma la Roma non è riuscita a darsi una sua identità. Cosa si dovrebbe fare?
“A livello sportivo sono Bilardista: mi piace una squadra vincente. Che affronti ogni gara con la mentalità di vincerla. Ma, fondamentalmente, ogni squadra deve essere un riflesso della sua tifoseria. Essere fan di un club marca un tifoso, e questa è l'unica cosa che resta. Il tifoso sarà sempre lì, al tuo fianco. Se sai costruire una squadra nel quale lui possa rivedersi, hai maggiori possibilità di successo. E la tifoseria della Roma è molto ambiziosa: punta sempre al successo”.
L'ambizione è sempre alta a inizio stagione ma la Roma non ha vinto nulla negli ultimi 20 anni. Qual è il motivo?
“La Roma ha vinto nel 2001. È necessario l'equilibrio per dare tempo ai progetti. Se oggi è bianco e domani è nero è difficile trovare la strada giusta. La Roma deve trovare il suo grigio. Le decisioni sbagliate si prendono nei momenti migliori o peggiori. Quando c'è equilibrio, il successo è maggiore”.
I tifosi si sono sempre lamentati del fatto che la Roma abbia venduto le sue stelle. Il suo modello però si è basato in parte su questo.
“Non penso che dobbiamo avere paura di vendere buoni giocatori. Il problema sarebbe quello di non comprarne. La Roma deve essere più stabile però passando per il convincimento che non non c'è niente di male nel vendere”.
Quante persone del suo staff l'hanno seguita a Roma?
“Zero. Per contratto non potevo portare nessuno ma ci sono due modi per affrontare un cambiamento e io ho scelto quello che pensavo sarebbe stato più rapido. Se ti ritrovi da solo in un ambiente sconosciuto ti ambienti più rapidamente”.
Totti si è unito al suo staff
“Sì, Francesco mi sta aiutando molto giorno dopo giorno. Non potrei avere un maestro migliore per conoscere Roma ma mi sta sorprendendo piacevolmente nel coinvolgimento e nel rapido adattamento. Ha una grande voglia di imparare ogni giorno un nuovo ruolo dopo 27 anni da giocatore”.
Nessuno sapeva se Totti sarebbe rimasto o se ne sarebbe andato. Rimaneva in panchina molto tempo e la tensione era alta. Lei è arrivato tu e ha risolto la situazione.
“Ho avuto una conversazione con lui, nella quale gli ho detto che, da lì a un'ora e mezza, sarei andato in conferenza stampa e che, probabilmente, non gli sarebbe piaciuto quello che avrei detto. Era però un mio dovere affrontare la situazione. Prima di tutto, parlando con lui per tutto ciò che rappresenta. In secondo luogo, prendendo una decisione che credevo necessaria e che a lui non piaceva però ha apprezzato che io gliel'abbia detto in faccia. A partire da lì, abbiamo iniziato un rapporto che è andato crescendo e che mi dà molto”.
Hai risolto in un'ora e mezza il problema di anni...
“Era una situazione difficile da affrontare. Quando mi sono seduto con lui per parlarne mi tremavano le gambe. È Totti, stai parlando con un mito nel suo tempio. Non è facile”.
E dovevi gestire il finale di carriera di questo mito
“Lui ha reso più facile il tutto. Tutti avevamo più paura di quella che avremmo dovuto avere. Francesco ha segnato in tutte le stagioni che è stato a Roma, fino al 2017. Se non era avvenuto fino a quel momento, forse non era arrivato il momento giusto”.
Dopo 7 mesi, possiamo dire che il sistema Monchi è esportabile?
“Sarei molto frettoloso ma è vero che sono soddisfatto di continuare a essere me stesso. Quando ci si costruisce un ruolo partendo da zero e poi lasci il luogo dove sei cresciuto, il massimo cui puoi aspirare è continuare a essere te stesso. Non esiste però un modo di lavorare esclusivo di Monchi. È una filosofia di lavoro che ho applicato al Siviglia: stare il più vicino possibile al nucleo dove si genera questo business, questo mondo. E quel posto è lo spogliatoio, con l'allenatore, i giocatori e tutti i dipendenti. Lì è dove mi muovo bene e posso dare il mio contributo.
Che significa comprare un giocatore per 220 milioni nella sua idea di calcio?
“Significa che qualcuno ha i soldi. E anche che il calcio è capace di generare queste quantità di denaro e che chi investe crede possa ricavarne un reddito”.
Però lei questa estate non ha potuto comprare dei giocatori per l'inflazione che ha avuto il mercato...
“Sì ma l'inflazione va connessa all'aumento del reddito. Non penso sia tutta colpa del PSG ma del fatto che il calcio generi più soldi”.