Slideshow - De Sisti: "Dovevano venire gli americani per ricordarsi di chi ha fatto qualcosa per la Roma?"
Fonte: Roma TV
Giancarlo Picchio De Sisti è l'ospite della puntata di oggi di Slideshow su Roma TV. Ecco le dichiarazioni dell'ex calciatore della Roma.
La Chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio.
"Dove ho mosso i primi passi, nella parte posteriore della facciata c'è il campettino dove mi dilettavo a giocare, dove facevano anche a gara a prendermi quelli più grandi, vedevano che mi muovevo bene".
La Roma juniores.
"Presidente Gianni, che ci venne ad accogliere alla stazione, avevamo vinto il campionato. Qui tutti i ragazzi erano del 41'-'42, solo io ero del '43. Mi hanno fatto crescere e accettato come fossi grande come loro, con questa squadra abbiamo vinto due volte il campionato Juniores e due volte la Coppa Italia. Una bellissima foto".
La formazione del '42.
"Conosco solo Masetti, persona di grande statura morale. Di lui serbo un grandissimo ricordo, è uno di quelli che mi ha svezzato. Ci allenavamo al Campo Roma, mi ha detto che se avessi fatto bene caratterialmente sarei arrivato lontano".
Alfredo Foni.
"Mi fa venire i brividi perché è l'uomo che mi ha fatto giocare in Serie A. Ricordo che non ci allenavamo con la squadra Juniores contro la Prima Squadra, gli piacevo perché ero un giocatore semplice. Non arzigogolavo, avevo buona tecnica, giocavo per la squadra. Lui lo ha capito e il treno che passa per i giovanotti è passato per me anche grazie a lui".
Con Orlando e Menichelli.
"Loro sono stati un orgoglio della squadra giallorossa, giocavano titolari in Nazionale. Ricordo che quando loro erano titolari in Nazionale e nella Roma le due ali alternative erano Ghiggia e Selmosson. La soddisfazione enorme di essere tra due compagni che mi hanno aiutato".
Losi con la Coppa delle Fiere.
"Un uomo per il quale nutro grandissimo rispetto, il Capitano che riceve la Coppa delle Fiere all'Olimpico, c'è Giulio Corsini e c'è Alfio Fontana. Giacomo Losi è stato una guida in campo, era uno che suscitava il massimo del rispetto pur mettendosi a disposizione dei compagni, piccoli o grandi che fossero. Avevano una parola e un sacrificio pronto per ognuno di noi, un uomo al quale voglio un mondo di bene".
Pelè.
"E' una delle partite che abbiamo giocato col grande Pelè. Un'emozione incredibile, si vede sul mio viso. Si vede la commozione di stare vicino a quello che ritengo il più grande della storia del calcio".
Foto di squadra.
"Ero tra i miei idoli, avevo una stanzetta dove avevo appiccicate tutte le figurine di tutti i miei idoli, specialmente quelli della Roma. Poi mi sono trovato in mezzo a loro, un grande sogno".
La Coppa Italia del '64.
"Questa è una cosa bella, la Roma ha avuto il grande pregio di riconsiderarci. E' la prima Coppa Italia, siamo a Torino. C'è il presidente Marini Dettina al centro, c'è il dott. Alberto Valentini, c'è Giacomo Losi che solleva la Coppa e io la Coppa Dall'Ara, la Coppa Disciplina. Ottenemmo la Coppa Disciplina pur non prendendo una lira per molti mesi ed essendo nelle condizioni che portarono la Roma a vendermi. Una delle poche vittorie che ho avuto con la Roma, porca miseria, troppo poco".
Alberto Schiaffino.
"Campione del Mondo, il mio Maestro. Quando venne a Roma vide in me un ragazzo sul quale si poteva lavorare, avevo dei requisiti che riteneva fondamentali, che io ritengo fondamentali nel centrocampista. Un centrocampista deve conoscere l'arte e i meccanismi per far muovere il gioco il prima possibile, deve filtrare e preparare l'azione. Mi ha insegnato dei trucchi e dato suggerimenti che sono stati utili per la mia vita".
La colletta del Sistina.
"Fu pensata da Lorenzo, vide la partecipazione straordinaria di molti tifosi, anche di tifosi famosi come Renato Rascel, andammo tutti al teatro Sistina a chiedere di sostenere la Roma sul piano economico, fu un momento difficilissimo, i giocatori che sono ben pagati che vanno a chiedere aiuto ai tifosi... c'è sempre stato il feeling, abbiamo pensato che fossero gli unici a poter dare una mano. Non racimolammo molto, ci tiravano le monetine come scherno, ce la passavamo male. Soddisfammo le esigenze e la devolvemmo agli alluvionati".
Con la Fiorentina.
"Andai alla Fiorentina con le lacrime agli occhi. Ero un casareccio, mammone, avevo la mia ragazza, avevo i miei amici, la Roma, tutto a Roma. Quando mi cedettero piansi, ma non sapevo che avrei trovato un posto dove la gente mi ha adottato".
L'Europeo 1968.
"A Roma, contro la Jugoslavia, la ripetizione. Valcareggi cambiò cinque elementi e qui vincemmo 2-0, la fiaccolata dell'Olimpico la ricordo come fosse oggi. Non avevo giocato molte volte in Nazionale, ricordo che chiesi una trentina di biglietti per far venire mia madre, mio padre e i parenti. È stata una delle più grandi soddisfazioni, non ho tanti titoli. Alle cose che ho vinto sono affettivamente legato, questo Europeo è l'unico che l'Italia ha vinto. Si vedono giocatori di straordinario livello, come Facchetti, Rosato che ci hanno lasciato, c'è Zoff, Mazzola, Burgnich, Domenghini, Anastasi, Riva".
Italia-Germania 4-3.
"Un attimo di sbandamento, questo è il gol di Rivera del 4-3. La partita del secolo. Ancora oggi mi vanto terribilmente di essere stato presente in quella partita, additata nella storia come la partita del secolo. Aver attraversato quel campo è motivo di orgoglio e soddisfazione. Nei miei discorsi che faccio ai bambini parto o arrivo a questa partita".
Il ritorno alla Roma con Liedholm.
"Tornai alla Roma, avevo orientato questo ritorno dopo aver discusso con la Fiorentina, col tecnico Radice. Gli dissi che non volevo stare più con lui, anche perché la Fiorentina difficilmente mi avrebbe ceduto. Ci fu un incontro a Fabro in cui mi dissero che la Roma mi voleva, parlai con Ugolini dicendogli di mandarmi lì e di fargli lo sconto. Di Bartolomei, che giocatore! Il grande Liedholm, maestro assoluto. Bruno Conti, 13 marzo".
Liedholm.
"Stavamo a Brunico, era tutto verde, un posto magnifico, pieno di verde, solo il campo non lo era. Era il primo anno che le squadre andavano lì, Liedholm disse che se avessimo imparato a giocare lì avremmo fatto spettacolo sui campi d'erba. Il re dei paradossi. Avevo dei problemi a una caviglia, era il periodo invernale. Gli dissi che non stavo bene, di far giocare un altro. Lui mi diceva che era meglio un cavallo zoppo che un asino sano. Ti responsabilizzava fino a prendersi controindicazioni in campo, gli davi l'anima".
L'elmo in dono dalla Curva Sud.
"In occasione di un derby che vincemmo grazie a un mio gol. Alla fine della partita me lo consegnarono a bordocampo. Per me è stato uno dei momenti più alti. Dico la verità, sapevo che la gente era felice e ripagavo così il fatto di avermi riportato a casa, con un gol importante in una partita importante".
Walter Sabatini.
"Con qualche capello in più, nel periodo che venne alla Roma. Era un interessantissimo esterno, un'ala che aveva una proprietà di palleggio incredibile. Era innamorato del pallone, serbo un buonissimo ricordo. Era uno che si faceva gli affari suoi, quando andava in campo devi stare attento, era un cliente difficile da affrontare. Vivevo ai Castelli Romani e frequentavo di meno".
L'ultimo contratto.
"Me lo fece il presidente Anzalone".
Paolo Carosi.
"In questa veste è allenatore del Cagliari, io alleno la Fiorentina. Un momento triste di discussione, in un incontro normale tra due allenatori. Noi e la Juventus stavamo a 44 punti, loro giocavano a Catanzaro, che non chiedeva nulla, il Cagliari doveva salvarsi. Non giocammo benissimo, loro erano altamente motivati, ci venne annullato un gol per un presunto fallo di Bertoni sul terzino che finì addosso al loro portiere, con Graziani che segnò. C'è sempre stato qualcosa che puzzava di bruciato, la Juventus vinse a Catanzaro con un rigore di Brady che c'era, ma non gli venne dato contro un rigore per un fallo pachidermico di Brio su Borghi. Sono cose che capitano e ricapitano, Firenze ci rimase male, anche io rimasi male, venne coniato il detto meglio secondi che ladri, tuttavia questo non inficia il rapporto tra me e Carosi e non posso più dirglielo perché non c'è più".
James Pallotta.
"Grazie al Presidente di averci ridato vita. Faccio una battuta, non so se irriverente: dovevano venire gli americani per ricreare questo entusiasmo? Perché dimenticarsi di chi ha fatto qualcosa per la Roma? Abbiamo dato il cuore, grazie Presidente, è sempre molto gentile. Il mio inglese è zero, ma la consegna della medaglia con tutti i nomi della vittoria della prima Coppa Italia in occasione di Roma-Torino è stato un momento bellissimo, grazie tante Presidente".
Il Picchio.
"Un soprannome che ricevetti da quando ero bambino. A Roma si usava giocare con questo attrezzo, che è a forma conica e ci si attorcigliava lo spago e si faceva ruotare, come una trottola. Ho sempre corso molto, è un soprannome al quale sono affezionato, me l'hanno dato i compagni della Roma Juniores e fu adottato dal pubblico di Roma che mi vuole ancora bene. Quando andai a Firenze i fiorentini volevano modificarlo, volevano chiamarmi diversamente, ma era troppo lungo e rimase Picchio. Se fossi andato a Napoli, lo stesso oggetto si chiamava strummolo, avrei fatto una fine ingloriosa".
Con Lino Banfi ne L'Allenatore nel Pallone.
"Ho fatto una carriera discreta, buona, ho attraversato la Nazionale in momenti di fulgore. Questi sono tre minuti di un film girato con Lino Banfi, in cui fingo di essere un suo vecchio collega. Facevo l'allenatore della Fiorentina, sono stato riconosciuto da un sacco di gente che mi ha indicato come quello del film con Banfi. Ho fatto pure parecchie partite in A, o non ho lasciato traccia o il film è stato un cult ricordato ancora oggi e che è passato in tante sale. Vengo riconosciuto per questa scena, quando una partita che doveva finire in parità finì 5-0 per noi, l'equivoco era che metà dell'incasso doveva essere dato all'Unicef, lui capì invece che il pareggio era a sua disposizione, e disse che mi avrebbe spezzato la noce del capocollo. Se mi ricordassero una partita o qualche bel gol... vabbè (ride, ndr)".
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