Tomei: "Dobbiamo ritrovare sicurezza. Quest'anno abbiamo avuto dei problemi nella fase difensiva. Il compito è di supportare l'allenatore, a volte basta uno sguardo"
L'allenatore in seconda della Roma, Francesco Tomei, è il protagonista dell'AS Roma Match Program di questa settimana.
Sassuolo non sarà mai una partita come le altre per gran parte dello staff tecnico. Per lei, in particolare, come sarà?
“Un tuffo nel passato, siamo stati diversi anni in Emilia, dove si vive benissimo e dove siamo cresciuti calcisticamente e professionalmente. A Sassuolo abbiamo molti amici, molte persone con cui abbiamo diviso anni bellissimi. Sarà sicuramente una partita particolare, poi come in tutte le gare, ogni volta che inizia diventa come le altre. Diventeranno avversari, ma prima e dopo il fischio saranno sicuramente diversi dagli altri”.
Sassuolo è ormai una realtà conclamata del calcio italiano. Segno che anche una piccola piazza, come appunto quella di Sassuolo, grazie ad una attenta programmazione si può competere a grandi livelli…
“È un po’ una mosca bianca. Sassuolo è una realtà piccolina, ma per tanti aspetti è una piazza importante, perché ha una proprietà seria che ha dato un indirizzo molto professionale. Anche se in una piccola realtà, quando eravamo a Sassuolo abbiamo avuto tutto a disposizione, a livello tecnico, medico, fisico, insomma un appoggio completo. C’è anche un altro aspetto importante, essendo una piazza cosiddetta piccola, tranquilla, ti dà la possibilità di sbagliare, di lavorare in serenità ma sempre con un livello molto alto di professionalità. Negli anni infatti si è assetata a buonissimi livelli”.
Come si affronta nella giusta maniera la squadra di De Zerbi?
“È un tecnico preparato, uno degli allenatori emergenti con ottime idee. Il Sassuolo predilige questo tipo di tecnico, con un proprio credo e le proprie idee. La squadra di De Zerbi è organizzata con un ben preciso modo di affrontare la partita”.
Quindi, che gara sarà?
“Difficile sia a livello tattico che fisico, sono una squadra preparata. Molti giocatori li conosciamo bene… Berardi, Magnanelli, Consigli… Giocatori che nel frattempo hanno acquisito una maggiore esperienza. Sono un mix molto impegnativo. Dovremmo affrontare la gara con molta applicazione e non potremmo permetterci di sbagliare perché possono fare male”.
Sassuolo è stata solo una tappa di un lungo percorso formativo. Quanto è importante partire dal basso per arrivare in alto?
“In tutte le professioni c’è bisogno di esperienza. Una volta c’erano le botteghe degli artigiani, dove si andava ad imparare il mestiere. Va fatto con le tappe giuste, partendo con una buona dose di umiltà. Per un semplice motivo: da calciatori si pensa di poter allenare con facilità, ma non è così, allenare è un altro mondo. Bisogna capire in prima battuta se si è portati. L’allenamento per il calciatore è un’esercitazione, ma lo è anche per l’allenatore. All’inizio è necessario provare e sbagliare. Quindi secondo me partire dal basso è fondamentale, è un buon percorso. Certo come tutti i mestieri ci saranno le eccezioni. È necessario fare delle esperienze per il proprio bagaglio, per gestire le scelte con più lucidità. Insomma, bisogna avere una dose di umiltà per imparare sempre. Quando sei appagato e pensi di aver capito tutto, il momento che inizi a morire. È giusto quindi fare un percorso formativo per diversi anni, poi nel tempo dimostrare il proprio lavoro”.
Una curiosità. Ai tempi di Pescara, quando giocava, la chiamavano il Russo, perché?
“Era un calcio un po’ più permissivo, su tante cose. Ero un difensore grintoso di poche parole, taciturno, questo il motivo del soprannome. È stato un nomignolo che mi hanno dato alcuni compagni in una annata particolare e poi me lo sono portato un po’ dietro. Vado un po’ contro la situazione attuale: oggi è diventato un calcio mediatico a 360° dove tutti hanno le loro opinioni. Però le opinioni di alcuni a volte vanno ad influenzare le situazioni. Alla lunga dà fastidio, inutile far finta di niente. Essere spesso in contrapposizione con persone che non fanno questo lavoro, è complicato. A volte la parola ‘gratis’, non competente, mi infastidisce, ma siamo abituati. Nella sincerità mi piacerebbe un calcio un po’ più giocato, di fatti e non di parole. È un calcio troppo esagerato e dimentichiamo che se una famiglia va allo stadio con dei bambini nella teoria va a vedere un gioco, una partita di calcio, insomma un momento di svago, invece ci si prende tutti troppo sul serio. È nelle dinamiche del nostro lavoro perché gli interessi sono tanti, inutile nascondere che però mi piacerebbe fosse più una festa. Quella festa che si respira quando ci sono i risultati, io non posso dimenticare la Champions dello scorso anno”.
Proprio da Pescara è nato il sodalizio fra lei e Di Francesco. Insieme avete diviso e condiviso tanti momenti. Quale quello conserva più gelosamente?
“Sono diversi i momenti. Sicuramente la semifinale di coppa è stata molto bella, la partita contro il Barcellona è stato andare oltre ogni aspettativa. Abbiamo realizzato un piccolo sogno personale. Purtroppo il calcio va così veloce che non si ha il tempo di assaporarlo. Ma professionalmente ci siamo tolti una bella soddisfazione. Un momento bellissimo che sono stato felice di condividere con il mister”.
A proposito di tempo che passa velocemente, trovare il momento opportuno è una delle caratteristiche determinanti di un “secondo”?
“Io li chiamo tempi. Trovare il tempo giusto. Nel mio ruolo devi sapere quando dire o non dire una parola. Un silenzio ha la stessa valenza di una parola, bisogna saperle modulare. Oggi mi viene naturale scegliere il momento. A volte basta uno sguardo. Ogni ruolo all’interno dello staff, della squadra, ogni competenza deve essere ben precisa. Alla fine chi decide e ci mette la faccia è sempre l’allenatore e quindi in tutti i modi noi dobbiamo supportarlo. A volte ci metto la ‘o’! Dobbiamo metterlo nelle condizioni di essere il più efficiente possibile. Quindi benvenga un silenzio a volte, invece che dire tante cose. Nella gestione del lavoro insomma è molto importante conoscersi bene”.
C’è stato un momento in cui il mister le ha fa notare un "te l’avevo detto"?
“Succede sempre. Accade spesso che lui mi dica te l’avevo detto. Difficile che dica che gli abbia detto una cosa giusta, di solito il contrario! Scherzo! Ma capita quotidianamente che abbiamo visioni diverse, ed è giusto così. Chi è vicino ad un allenatore deve essere di confronto. Il mio compito è dirgli il mio pensiero anche se opposto a quello del mister poi lui mi dirà il motivo per il quale ha ragione lui. Il non dire non è di aiuto. Il confronto tra noi è importante perché ti fa crescere. Nel lavoro come nella vita. Con mia moglie accade lo stesso. Magari non glielo faccio capire per orgoglio. Si sa che gli uomini sono più ‘stupidotti’, le donne ci arrivano prima, sono più perspicaci. Poi in qualche modo le faccio capire che ha ragione. Pero il confronto è basilare”.
Parlando di Roma invece, fin qui è stata una stagione che ha avuto un cammino a corrente alternata. Perché questa difficoltà?
“I perché sono tanti in una stagione, riassumerli è difficile, ci vorrebbe molto tempo. Abbiamo avuti alti e bassi per motivi contingenti, infortuni, giocatori nuovi che fisiologicamente hanno bisogno di tempo, abbiamo diversi giovani. Roma è una piazza importante dove è difficile imporsi, gli esempi più chiari li abbiamo con Zaniolo e Cristante. Due ragazzi che all’inizio hanno avuto qualche difficoltà, però adesso iniziano ad essere dei giocatori importanti. Sono state tante le cose che hanno influenzato questi primi mesi. Ultimamente vedo con alti e bassi una crescita importante dei ragazzi e quindi sono fiducioso per il prosieguo. Sono ragazzi validi che ci potranno dare una grande mano. Siamo alla Roma e tempo ce ne è poco, il mio augurio è quello di poter inanellare una serie di risultati che portino serenità, mentale e di sicurezza che per una squadra è fondamentale. E spero che avvenga il prima possibile”.
La fase difensiva è stata uno dei punti di forza del vostro primo anno di lavoro alla Roma: come state lavorando per riportarla su quegli standard?
“Si parla di fase difensiva che coinvolge quindi un blocco squadra, non un solo reparto. Quest’anno abbiamo avuto più problematiche, ma ci stiamo lavorando da diverso tempo per ritornare a quegli standard. Molti lo scorso anno hanno fatto una fase di non possesso importantissima. Io non passo dal cavallo all’asino, se uno è cavallo resta tale. Magari in questo momento è un po’ stanco… ma ci diamo da fare per farlo tornare a correre. È un lavoro quotidiano su un blocco squadra ripeto, una mentalità di squadra che deve ritrovare sicurezza, sicurezza che la prerogativa base di una squadra importante”.
In Champions League comunque le cose sono andate diversamente: la Roma ha centrato, con un turno di anticipo, il suo obiettivo.
“Sono meno partite ed appuntamenti dove l’atmosfera è diversa. La Champions è la massima espressione del calcio moderno a livello di competizione, quindi di istinto si alza il livello di attenzione, in modo inconscio. Noi dovremmo riuscire ad alzare il livello mentale in campionato, però tutto sommato siamo vicini alla zona Champions, siamo in corsa per tutte le competizioni. A me non piace essere distruttivo, sono costruttivo. Nella vita è sbagliato pensare male. Se ci si piange addosso i problemi aumentano. Questa aria di negatività non fa bene né alla squadra né all’ambiente. Il nostro compito è anche ricordare loro anche questo. Lo scorso anno abbiamo fatto una stagione importante in Champions e in campionato. Tornando al cavallo e all’asino, non possiamo accettare quello che ci vogliono far credere, non siamo diventati asini. Noi siamo in gioco per tutto, siamo ancora in tempo per fare tutto. Vero, abbiamo perso contro squadre sulla carta inferiori, abbiamo preso tanti gol, vero. Ma tutto si vede alla fine”.
Quali sono i margini di miglioramento di questo gruppo?
“Stiamo recuperando giocatori importanti, i giovani stanno crescendo. Sono convinto che da adesso in poi potremmo prendere un treno importante. C’è modo, il tempo è dalla nostra parte".
A febbraio gli ottavi di finale contro il Porto. Una squadra affrontabile rispetto ad altre corazzate.
“Sarò banale, ma negli ottavi di finale qualsiasi squadra è impegnativa. Saranno due partite complicatissime ma ce la possiamo giocare. Sarà una sfida dove entrambe le formazioni potranno fare una ottima figura. In questa competizione il dettaglio ti può cambiare la partita, c’è bisogno di tutto, anche di un po’ di buona sorte. Auguriamo che l’aria che ci trasmette la Champions ci possa far andare avanti”.
Siamo alla fine del 2018. Alla fine di un anno vissuto intensamente. Quale è stato il momento più bello?
“Non posso dimenticare il momento della Champions, l’atmosfera nello stadio. Con il Liverpool siamo usciti in modo rocambolesco, però siamo stati acclamati anche nella sconfitta. La gente usciva dallo stadio felice, sorridente. Mi piacerebbe il calcio fosse un po’ così, non sono il primo a dirlo lo so, ma è un augurio che faccio al mio sport”.
Cosa chiede all’anno nuovo?
“Di rivivere un'altra serata come quella di Roma- Barcellona".