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Totti: "La famiglia Sensi è stata tutto per me. Con gli americani un'aria nuova e importante. Baldini? Ci siamo chiariti in 30 secondi. De Rossi, firma!"

di Gabriele Chiocchio
Fonte: Sky Sport

Francesco Totti ha rilasciato a Sky Sport, con Christian Panucci come inviato speciale, ecco le sue parole:

Ci sono due persone che conosco bene e che sono tuo padre e tua madre. Quanto sono stati importanti per te?
"Sono state le persone più importanti per me, nell’insegnamento, nell’educazione, nel farmi capire il senso del rispetto e, soprattutto, per quello che ho fatto fino a oggi. Se non avessi avuto loro, non sarei qui a parlare oggi. Avere una famiglia che ti segue e ti sostiene sempre vuol dire avere la possibilità di arrivare fino in fondo".

Com’eri da piccolo?
"Ero un “paravento” come mio figlio Christian. Nel senso che, come lui, mi divertivo, ero un “giocarellone”, rompevo le scatole a tutti. In certe situazioni, mi rivedo in lui e questo mi fa piacere, era la cosa che sognavo".

Passato il dopoguerra, ci sono stati due grandi numeri 10: uno è Gianni Rivera e l’altro è Francesco Totti. Quando ti sei accorto di vedere quello che gli altri non vedevano?
"Grazie per il paragone perché, vedermi accostato a un giocatore come Gianni Rivera, per me è fonte di orgoglio. Non riesco a vedere ciò che vede la gente, perché io devo farlo. Ogni tanto rivedo le immagini delle partite e alcune cose, sinceramente, non riesco a capirle neanche io quando le faccio. Soprattutto certi gesti difficili".

Quanto sei orgoglioso della tua scuola calcio?
"Tanto, perché mi piace vedere i bambini che si divertono, che giocano. Poi, lo sport è fondamentale per i bambini, soprattutto quando sono così giovani. E’ uno sfogo, un divertimento, un passatempo. E’ una cosa che mi piace seguire e spesso vado a vedere come si comportano".

Il 28 marzo del ’93 esordisci a Brescia. Sono passati quasi vent’anni. Pensavi che avresti avuto una carriera così bella?
"No, non pensavo che avrei avuto una carriera così prestigiosa. Ma, da quel momento, ho pensato che il calcio fosse il mio lavoro principale. Più che un lavoro, una passione che ho sempre avuto fin da piccolo. Ho sempre cercato di dare il massimo e sono arrivato fino a questo punto".

Mazzone è stato molto importante per la tua carriera. Com’era il tuo rapporto col mister?
"Tuttora lo ringrazio, perché per me è stato come un secondo padre. Ho avuto la fortuna di averlo negli anni più importanti di un giocatore, tra i sedici e i diciannove anni. Mi ha gestito nel migliore dei modi, anche perché in una città importante come Roma non è facile gestire un giovane, soprattutto romano, che la gente voleva che giocasse, invece lui mi teneva un po’ distante da tutto".

Cosa ti ricorda il 4 settembre del ’94?
"E’ un ricordo bellissimo, che porterò con me per tutta la vita, anche perché in quel giorno ho fatto il mio primo gol in Serie A contro il Foggia".

Nel ’98-’99, con Zeman, diventi capitano della Roma. E’ stato il tuo primo grande salto di qualità?
"Sì, perché essere il capitano della Roma è una cosa che mi inorgoglisce, che ho sempre pensato di fare e cercato di fare nel migliore dei modi. Ho avuto la fortuna di realizzare questo sogno".

In quell’anno diventi anche rigorista della Roma.
"Sì, non c’era nessuno!"

A volte, basta sbagliare un rigore per far scoppiare un putiferio.
"Purtroppo nel calcio capita anche questo. Io, di rigori, ne ho sbagliati parecchi".

Cosa ti è dispiaciuto di quello che hanno detto dopo l’ultimo rigore fallito davanti a Buffon?
"Vorrei specificare lo sfogo post partita nei confronti dei tifosi della Roma, che so quanto mi amino e mi vogliano bene, e la cosa è reciproca. Però, mi è dispiaciuto il modo in cui si sono esposti in certi momenti, soprattutto davanti ai miei figli. Finché la critica è costruttiva, accetto tutto a testa alta, ma se mi offendono davanti ai miei figli non ci sto. Non volevo offendere i tifosi, ma mi sono sentito tradito quando ho dato il mille per mille per questa maglia e ci ho messo la faccia". 

Quando però fai il cucchiaio son tutti pronti ad abbracciarti…
“Quando segni ti vengono tutti dietro, montano tutti sul carro dei vincitori”.

Senti di avere un potere mediatico?
“Personalmente non lo vedo, però lo concepisco. Vedo quello che si scatena quando faccio un’intervista, me lo fanno capire persone che ho intorno e che mi vogliono bene”.

Se ti danno del coatto?
“Mi arrabbio perché non sono mai stato coatto. Sono di San Giovanni, non posso essere un coatto”.

Che ricordo hai della stagione 2000-2001?
"Un ricordo troppo bello, perché sono riuscito a realizzare quello che ho sempre voluto, cioè vincere lo scudetto con la Roma da capitano, da protagonista. Fortunatamente, ho capito cosa significhi vincere uno scudetto a Roma". 

Il tuo rapporto con Capello.
"Ho sempre rispettato sia la persona che l’allenatore. Ho sempre avuto un buonissimo rapporto con lui. Quando è andato via c’è stato un piccolo screzio, ma è finita là, anche perché è uno degli allenatori che ho sempre stimato e stimerò sempre".

Ambiente Roma.
"Per me è l’ambiente che è difficile. Io, fortunatamente, ho la possibilità di conoscerlo, so cosa vorrebbero dalla squadra. Però, purtroppo, non sempre nel calcio si possono trovare cose che tutti vorrebbero".

L’anno dopo lo scudetto sono arrivato io e tutti dicevano che la Roma era ancora più forte di prima, ma non riusciva più a vincerlo. Perché è così difficile confermarsi a Roma?
"Abbiamo avuto la possibilità di vincere non solo l’anno dopo ma anche in quelli successivi, finché c’era Capello. Purtroppo abbiamo sbagliato le partite più importanti, due o tre di quelle decisive, ed è cambiato tutto".

Nel 2003 esce il tuo libro delle barzellette. Da dove nasce questa idea?
"L’idea era quella di fare dell’autoironia, perché in quel momento c’erano troppo persone che mi prendevano in giro, soprattutto sulla vita privata, e mi dava fastidio. Allora sono voluto tornare indietro, ho voluto ripartire da zero e scherzare su me stesso. Credo sia stata la cosa più bella che potessi fare".

Nel 2005 conosci la persona più importante, Ilary. Che ricordo hai di quel periodo?
"Ilary, per me, è tuttora importante perché mi trasmette serenità, è una persona tranquilla, gioiosa, mi ha aiutato nei momenti difficili che ho attraversato in alcuni anni. E’ una persona intelligente e una mamma perfetta, una persona davvero speciale, sempre solare, e poi mi ha dato questi due gioielli. Perciò è una persona indiscutibile".

Meglio “vi ho purgato ancora” o “6 unica”?
“Due cose differenti, ma due cose che difficilmente dimenticherò. Il primo è stato un gesto istintivo, alcuni tifosi prima della partita me l’avevano chiesto. Al derby è difficile perché non sono mai decisivo, o almeno così dicevano…”

Era Spalletti.
"A Genova, contro la Sampdoria, mancavano quattro attaccanti e mi disse: “Te la senti di giocare da prima punta?”. Mi son detto “Proviamoci, i piedi sono quelli”. Al massimo finisce 0-0. Invece, da quella domenica ho segnato e non mi ha più tolto da lì. In quel momento ho capito che quello era il ruolo che preferivo".

L'infortunio prima di Germania 2006
"Ho un ricordo bruttissimo, è stato il mio primo serio infortunio. Ho subito capito che fosse grave, tenevo la caviglia, ma era come se non ce l’avessi. Durante l’intervento ho pensato a tutto. Avevo paura, pensavo al mondiale e poi, con la forza e la determinazione che ho sempre avuto, sono riuscito a uscirne fuori".

Quanto ti ha fatto crescere?
"Tanto, perché ho capito alcuni aspetti di me stesso. Ho capito che potevo tirarmi su anche da solo".

Al mondiale eri al 50%, ma Lippi ti ha dato fiducia. Quanto gli sei grato?
“Il giorno dopo l’intervento venne a Villa Stuart e mi ha fatto piacere che mi fosse venuto a trovare. Mi disse: “Tu vieni anche così”. Da lì mi diede la forza di accelerare i tempi perché una persona con questa umanità mi ha fatto accelerare tutto, sia mentalmente che fisicamente. Sono grato a lui e abbiamo vissuto questa emozione in Germania. Ci siamo abbracciati e gli ho ricordato che quel giorno era stato importante”.

Con Spalletti, a livello europeo, la Roma ha accresciuto il suo prestigio.
"Sì, soprattutto in Champions League, abbiamo fatto dei miglioramenti anno dopo anno. Purtroppo, l’episodio di Manchester ci ha fermato. E’ difficile vincere la Champions, non impossibile perché niente è impossibile. Ma vincerla sarebbe stato un privilegio".

Che ricordo hai del 7-1 di Manchester?
"Speravo che la partita finisse il prima possibile, perché era un incubo. Facevano bene a entrare da tutte le parti, perché quando una squadra ha la possibilità di asfaltare è giusto che lo faccia".

Nello spogliatoio eravamo tutti tristi e tu facesti una battuta per sdrammatizzare. Era appena uscita la PS3 e dicesti “ve l’avevo detto di usare la 2…”
“Dovevamo essere bravi a sdrammatizzare. Lì per lì ci stava, ci ha fatto ridere e ormai era successo, perciò…”

In quel periodo, in Italia, l’Inter era la squadra più forte?
"Sì, purtroppo abbiamo incontrato l’Inter più forte di tutti i tempi, era devastante. Speravamo di vincere lo scudetto, purtroppo non ci siamo riusciti".

Ti sarebbe piaciuto lavorare con Mourinho?
“Sì, parlando con alcuni giocatori allenati da lui mi hanno detto che è una persona di alto livello oltre ad essere un grande allenatore. Penso che la persona sia la cosa più importante, e lui dà tanto”.

Nel 2007 sei il primo romanista a vincere la Scarpa d’Oro. Sembrava la fine, e invece sei ancora qua.
“La vincita della Scarpa d’Oro è accaduta anche grazie alla squadra. E’ stata merito di tutti i giocatori, grazie a loro sono riuscito ad ottenere quello che volevo”.

La famiglia Sensi
“E’ stata tutto. Ho vissuto i miei vent’anni di carriera con loro, è stato ed è tuttora un ricordo bellissimo, solo cose positive. Non ho avuto mai screzi né con Franco né con Rosella, ho sempre avuto un grandissimo rapporto ed è anche grazie a loro che sono riuscito a rimanere e ad indossare un’unica maglia”.

Che aria si respira con l’arrivo degli americani?
“Un’aria nuova e importante, che tutti volevano. Sia noi giocatori, che i tifosi”.

Con gli americani arriva Baldini. Vi siete chiariti?
“E’ stato tutto strumentalizzato. Il chiarimento è durato 30 secondi, con lui ho avuto un buonissimo rapporto e lo ho tuttora. Un domani dovremo lavorare insieme, abbiamo tutte le carte in regola per fare bene”.

Hai già cominciato a pensare da dirigente?
“Penso ancora a giocare perché mi sento ancora giocatore. Quando butterò la spugna penserò a fare il dirigente o altro”.

Ti piace il progetto di Luis Enrique?
“E’ un allenatore che ha portato una nuova mentalità. Non dico un nuovo gioco perché il gioco è sempre uguale e il calcio è sempre quello, ma è un allenatore che ha delle prospettive e delle idee importanti. Noi fortunatamente gli stiamo dietro”.

Quali sono i tuoi obiettivi?
“Poter vincere qualcosa prima di ritirarmi. Parlandone coi dirigenti, mi hanno detto che faranno una grande Roma”.

Tutti ti volevano, sei stato mai sul punto di andartene?
“In alcuni anni c’è stata questa possibilità, ma ho voluto quest’unica maglia per la quale ho sempre tifato e non volevo tradire i tifosi della Roma. Questo è stato uno dei miei risultati più importanti”.

Sei Baldini, cosa diresti a De Rossi per restare?
“O firmi, o firmi. Sei tifoso della Roma, fai parte del progetto della Roma, devi firmare a qualunque cifra. Spero possa firmare il prima possibile”.

Quanti scudetti meritava in più la Roma?
“Quattro-cinque sicuramente. Due-tre con Capello, uno vinto e due con Spalletti. E anche uno con Ranieri che avevamo quasi vinto, per cui sei. Potevo anche smettere (ride, ndr)”.

Quando smetterai, che fine farà la maglia numero 10?
“L’importante è che la indossi uno che lo faccia come l’ho fatto io. Il numero 10 è di un giocatore forte, non la può prendere un difensore. Compreranno un nuovo Totti, sperando che ci sia”.

Vi paragonano a Sandra e Raimondo
“Sandra e Raimondo era la coppia italiana perfetta, un mito per tutti, due persone eccezionali, squisite e bellissime da vedere. Un giorno, chissà… imitarli sarà impossibile, più in là ci penseremo”.

Per me è un onore conoscerti...
“Ti ringrazio tantissimo perché sai come sono fatto. Ti ho sempre stimato come giocatore e come persona. Ci siamo frequentati anche fuori, ti porto rispetto e nel calcio è difficile farlo. Sei una persona vera, dici quello che pensi in faccia a tutti e questo ti rende un uomo”.


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