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Tonino Pellegrini: "Calcio sempre fondamentale per mio figlio Lorenzo"

di Marco Rossi Mercanti

Tonino Pellegrini, papà di Lorenzo centrocampista della Roma, ha rilasciato una lunga intervista a Il Romanista. Eccone uno stralcio:

«All'Almas in realtà è stato un anno solo – spiega Tonino – il resto lo ha fatto all'Italcalcio. Era una scuola calcio a tutti gli effetti, anche se potevano iscriversi solo i figli dei dipendenti della Banca. Ricordo quando facevamo le partite, e dovevamo far entrare i giocatori delle altre scuole calcio: autorizzazioni, controlli, documenti, permessi… una cosa interminabile, bisognava venire un'ora prima. Lorenzo ha iniziato lì, a cinque anni e mezzo. E per i primi due anni l'ho allenato io. Poi ho capito che un padre non può allenare un figlio... Ed è stato così anche all'Almas, anche se è venuto con me: mi avevano contattato per fare il responsabile della scuola calcio, e me lo sono portato, anche per una questione di comodità. Ma non lo allenavo io. È rimasto un anno, e neppure completo: siamo stati contattati subito dalla Roma. A marzo, aprile e maggio, si allenava sempre con loro: era l'anno in cui la Roma stava rifacendo i campi a Trigoria, e aveva spostato le giovanili alla Longarina, al centro sportivo di Totti. Stava con i '95, allenati da Pisani e Capezzuoli, si allenava con loro, con il nulla-osta dell'Almas, con cui poi tornava solo per giocare le partite nel fine settimana. La Roma si era segnata il suo nome già dall'ultima stagione all'Italcalcio. Venne da me Marco Albergati, che ha fatto per tanti anni l'osservatore per i giallorossi, ma allora lavorava ancora per la Nuova Tor Tre Teste. Voleva portarlo lì, gli dissi che dopo pochi mesi sarei andato all'Almas, e me lo sarei portato. E a quel punto, non potendolo portare alla sua società, lo segnalò al suo amico Bruno Conti. Preso a zero: a quell'età c'è il vincolo annuale, i bambini a fine stagione sono liberi. Dopo quei tre mesi di allenamenti, in estate stava facendo una sorta di ritiro estivo con l'Almas: mi chiamò Fabrizio Di Mauro e mi disse che mio figlio era stato preso, e presto avremmo ricevuto la lettera. L'anno dello scudetto, veniva allo stadio con me. Andavamo in Curva Sud, nella parte alta, vicino alla Monte Mario. E la cosa che mi ha sempre impressionato è il modo in cui stava concentrato e silenzioso, seduto dall'inizio alla fine, a vedere la partita. Aveva cinque anni, non è facile: a quell'età i bambini si distraggono facilmente. Ovviamente me lo portavo solo alle partite più tranquille. Di Roma-Parma ricordo solo che uscii alle otto di mattina: quel giorno lo lasciai a casa… Ma per lui il calcio è sempre stato fondamentale: potevi anche regalargli una macchina, o un pupazzetto: qualunque cosa, la buttava a terra, e la prendeva a calci». Montella lo perfezionò tatticamente e gli diede piena fiducia. Ma lui in quel ruolo aveva già giocato l'anno prima, nei Giovanissimi Regionali, con Mirko Manfrè, che ora credo lavori per la scuola calcio della Roma, all'Acqua Acetosa. Lo arretrò nella seconda metà dell'anno, gli ultimi 2-3 mesi. Giocò da centrocampista anche la finale regionale, al campo della Romulea: vincemmo 4-1 contro la Tor Tre Teste, lui fu uno dei migliori in campo».


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