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Bonini: "La cosa che mi ha colpito è il silenzio che ha accompagnato questi anni di Roma"

di Pascal Desiato
Fonte: A tutto campo/Radio Ies-Rete Sport

Carlo Bonini, giornalista di Repubblica, è intervenuto ai microfoni di A Tutto Campo, trasmissione in onda su Radio IES 99.8:
”Non credo ai mecenati, credo che gli americani si siano fatti i loro calcoli e abbiano trovato vantaggioso portare a termine questa trattativa. Prima che con il cuore, a differenza della precedente gestione, ragioneranno con la testa e con il portafoglio. Se riusciranno ad avere dei ricavi bene, altrimenti passeranno la mano: il mercato in generale funziona così. La Roma non è solo una società di calcio, quotata pure in borsa, è prima di tutto un'azienda. Negli ultimi anni è stata una società in grave perdita, un carrozzone che si è portato avanti facendo salire figure di ogni genere. Non si spiega come da una perdita annua di un milione si sia arrivati ad oltre trenta milioni. Mi ha colpito molto vedere che ci sono dei contratti che una volta scaduti non cessano, proseguendo nel tempo seppure in mancanza di un rinnovo. Questo oltre ad aumentare la confusione renderà anche più complicato il lavoro di coloro che arriveranno. Ad esempio i contratti di consulenza legale, la comunicazione e tanto altro. C'è un'assoluta casualità nella gestione, una gestione familiare intesa come bonaria. Sulle società di calcio quotate in borsa gli organi preposti non hanno esercitato i lavori di vigilanza con il rigore necessario. Mi ha colpito come, a parte qualche eccezione, l'accoglienza nei confronti del gruppo americano è stata caratterizzata da diverse perplessità. Mi riferisco ai presidenti degli altri club, esponenti politici, ecc. Non mi interessa mettere sul giornale nomi e cognomi delle persone coinvolte, non so se altri colleghi decideranno diversamente una volta avuta la due diligence. I problemi di gestione interni a Trigoria non penso fossero un segreto”.

Bonini a ReteSport

Il Re è nudo, lo sapevano tutti ma lo dicono solo ora. E’ rimasta nuda pure la Roma?
"Purtroppo sì. Vivo a Roma, sono romano e la cosa più avvilente è stato scoprire che le tante piccole confidenze apparentemente indimostrabili assumevano dimensioni importanti. La sensazione è stata proprio quella di dire “Il Re è nudo”, manco fosse un segreto di Pulcinella. "

Non ti sei meravigliato?
"La cosa che mi ha colpito è il silenzio che ha accompagnato questi anni di Roma."

La presentazione dello stadio?
"Viviamo in un tempo in cui le domande danno sempre un gran fastidio, chi fa domande è un rompiscatole. Io do atto che ci sono stati in questi ultimi due anni colleghi che hanno provato a fare il loro mestiere facendo domande che non hanno avuto risposta e che sono stati etichettati come nemici della Roma, della città e dei tifosi. Essere soli non fa mai piacere, e bisogna anche avere le spalle grosse. Bisogna dare atto a queste persone che hanno fatto il loro mestiere. Di questi documenti non si può sospettare, anche perché danno visione a contenziosi del valore superiore a centomila euro. Mi sembra si possa dire che questa vicenda possa aiutare la città a fare un bagno di realtà. Il calcio fa rimanere bambini, ma quando si comincia a discutere di questioni più serie come la governance di una società quotata in borsa, bisognerebbe mantenere rigore a prescindere dalla passione e dal tifo. Con lo stadio, la proprietà ha probabilmente tentato di alzare il valore dell’asset Roma e di attirare qualcuno, visto che con uno stadio il valore di quell’asset sale. E’ curioso che quasi nessuno abbia detto in quella fase che si trattava di una rappresentazione di fantasia, e chi l’abbia detto sia stato insultato per settimane."

Gli americani hanno salvato la Roma e la pagano di fatto quanto l’avrebbe pagata Soros?
"Non credo ai mecenati, penso che ognuno faccia il proprio interesse. Gli americani hanno valutato con attenzione il rapporto costi/benefici. Rispetto ai parametri del piano industriale e alle passività così importanti hanno ritenuto che il gioco valga la candela. Sono però imprenditori che si danno un tempo e dei criteri per realizzare il piano industriale. Se questo non accadrà, ritengo che gli americani ad un certo punto andranno via. Il progetto avrà scadenza nel medio periodo e bisogna fare in modo che sia realizzabile. Le autorizzazioni per uno stadio nuovo le danno le istituzioni, il modo in cui si sta dentro lo stadio lo fanno i tifosi."

Perché tanta gente fatica a capire la normalità del procedimento finanziario dell’operazione-Roma?
"Io credo che per una volta, su una singola società, si abbia una dimostrazione evidente di che cos’è l’industria del pallone nel nostro paese e perché questa sia retrocessa nel ranking internazionale. Le società calcistiche sono sempre state considerate qualcosa di diverso dal loro core business, capaci di distribuire altri “dividendi” rispetto al valore nominale delle azioni, come prestigio e rapporti con la politica. Questo è vero per una società col nome della capitale, e questo spiega molto del tipo di gestione della Roma degli ultimi anni. Una grande banca ha tenuto in vita una società tecnicamente fallita nella speranza di rientrare del debito. Se un ragazzo va all’Unicredit a chiedere finanziamenti per aprire un pub gli ridono dietro, la Roma invece ha avuto linee di credito importanti. Portare i libri in tribunale non avrebbe permesso alla banca di rientrare del debito, e trovare un compratore è stato tutt’altro che facile. I potenziali acquirenti erano due, gli americani e Angelucci. Si comprende quello che poteva sembrare un oltraggio alla società. Mi auguro che questo bagno di realtà faccia bene a tutti e riporti la discussione in termini ragionevoli. La trattativa è stata seguita come un reality, ma sta finendo per perdere di vista la questione centrale: che cosa si stanno comprando gli americani? In ogni caso questa è una questione che non riguarda solo la Roma. Quando vedi arrivare gente nuova c’è la paura del diverso, e per questo la freddezza con cui sono stati accolti gli americani non mi sorprende. Mi fa sorridere quando i presidenti dicono che col calcio ci si perde solo e che nessuno abbia chiesto ai presidenti perché allora fanno i presidenti."
 


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