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Una rivoluzione incompiuta

di Alessandro Carducci

Parlare a un tifoso romanista di rivoluzione culturale provoca diversi tipi di emozione ma, probabilmente, non indifferenza. C’è chi ricorderà queste parole con nostalgia, chi con rabbia per i (non) risultati ottenuti. Di sicuro, esattamente 9 anni fa Walter Sabatini ne parlò in conferenza stampa con convinzione, spinto da un fervore e da un entusiasmo trascinanti. Dopo la fumata bianca di Boston, era il primo simbolo della Roma americana. Il primo simbolo della rinascita, della rivoluzione che da lì a poco avrebbe fatto cambiare pelle alla società, al centro sportivo di Trigoria, a tutto. Il 10 giugno del 2011 Sabatini si presentò parlando di Franco Baldini, parlando del nuovo allenatore Luis Enrique, ammettendo di aver contattato in precedenza Jürgen Klopp, fresco vincitore del suo primo scudetto con il Borussia Dortmund, e un certo Rudi Garcia, che sarebbe arrivato due anni dopo nella Capitale. Tutti ricorderanno poi l’infelice uscita su Marco Borriello (“è un problema”) e le parole al miele su Francesco Totti, definito come “la luce sui tetti di Roma”, che “dilaga, non va mai via”. Un animo romantico e corroso da un’inquietudine permanente, Walter Sabatini in pochi anni avrebbe fatto e disfatto la squadra fino a costruire una Roma competitiva con un occhio al bilancio.
Le rivoluzioni iniziano sempre con tante buone intenzioni ma con risultati, molto spesso, meno poetici e concreti. La Roma di Walter Sabatini era una squadra spinta da un forte entusiasmo e c’era la spensieratezza di chi pensa di poter conquistare il mondo, come un adolescente che inizia a esplorare la vita.
Quando, nel 2016, Sabatini lasciò la capitale tornò sulla rivoluzione culturale mai portata a termine: “Mi riferivo a un'esigenza, al pensare alla vittoria come una necessità non una possibilità. Tutti noi la dobbiamo considerare come un evento necessario e perché possa succedere serve una rivoluzione per centrare questo obiettivo. Qui si perde e si vince alla stessa maniera ed è la nostra vera debolezza". 
Parole profetiche, soprattutto in considerazione dell’opposto stato d’animo della tifoseria di oggi rispetto alla prima Roma americana del 2011: dalla speranza alla disillusione. Dalla fiducia nella proprietà, in Baldini e in Sabatini alle contestazioni di oggi verso la società, agli addii di Totti e De Rossi e alla fiducia in Fonseca, che oggi porta su di sé un fardello molto pesante. Da cornice, una proprietà che se non fosse stato per il COVID-19 oggi probabilmente non sarebbe più la stessa.

In questi nove anni è cambiato tutto a Trigoria ma non la mentalità: la rivoluzione iniziata da Sabatini è rimasta incompiuta.


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