Pincolini: "Ebbi l’impressione che Sensi mi prese per dar fastidio a Zeman. Il Totti ventenne era una forza della natura"
Fonte: AS Roma Match Program - Tiziano Riccardi
Vincenzo Pincolini, ex preparatore atletico di Roma e Atletico Madrid, è stato il protagonista dell'AS Roma Match Program.
Cominciamo da dove vuole lei, Pincolini.
“Sì, dal mio arrivo a Roma. Nacque esattamente quel giorno che Atletico Madrid e Roma si sfidarono in Spagna per l’andata dei quarti di finale di Coppa UEFA. Prima della gara, mi incontrai casualmente con il presidente Sensi, con il quale cominciai a parlare di varie cose. Lui mi prospettò la possibilità di passare alla Roma l’anno dopo, io gli diedi subito la mia disponibilità dato che all’Atletico ci andai per Sacchi e Arrigo in quel momento della stagione già aveva deciso di andarsene. Io continuai a lavorare con il tecnico Aguiar che veniva dalle giovanili, peraltro molto bravo. Però avevo già deciso di cambiare aria appena finito il campionato. E la Roma fu una bella opportunità per me. Anche se…”.
Anche se?
“Ebbi da subito l’impressione che Sensi mi prese per dar fastidio a Zeman. Sapevo bene che il tecnico boemo non amava lavorare con altri preparatori, che preferiva fare tutto da solo. Non a caso, poi, accadde esattamente questo. Zeman fu mandato via e Capello subentrò al posto suo”.
Che stagione fu quella con Capello?
«Preparatoria allo scudetto che la Roma avrebbe vinto l’anno successivo, nel 2001. Come sapete, io restai solo un anno a Trigoria, ma fu molto intenso. La decisione di passare subito dopo all’Inter fu mia e oggi – se potessi – non la rifarei. Fabio fece un lavoro enorme in quegli anni per la Roma, il club non era propriamente organizzato per grandi traguardi e lui curò
ogni dettaglio possibile per far sì che si potesse arrivare a vincere. Naturalmente, fu aiutato anche dai calciatori forti in rosa. Però non è sempre tutto così facile e scontato. Glielo dico sempre a Capello: “Il tuo vero scudetto è quello che hai vinto a Roma, non gli altri”».
Allenò il fisico di un poco più che ventenne Francesco Totti.
“Un atleta incredibile. In quel momento era una vera e propria forza della natura. Ad una qualità tecnica indiscutibile, sotto gli occhi di tutti, univa una fisicità che lo rendeva un calciatore unico nel suo genere. Peraltro, era un professionista esemplare. Non andava mai sovrappeso, ha sempre fatto una vita regolare. D’altronde, non si arriva oltre i quarant’anni
per caso. Io ho avuto alle dipendenze tanti campioni, palloni d’oro come Baggio e Papin, ma Francesco un riconoscimento come il Pallone d’Oro lo avrebbe meritato senza se e senza ma”.
Un giocatore di quella Roma con cui ebbe un rapporto particolare?
“Convinsi Aldair a lavorare sulla forza. Aveva più di trent’anni, ma restava un difensore straordinario. Era l’unico modo per allungargli la carriera. Lavorare sulla forza significa frenare l’invecchiamento. Fu riconvocato in nazionale proprio grazie a me, è una delle poche medaglie che mi metto al petto e che rivendico con orgoglio”.
C’era anche Eusebio Di Francesco in quella rosa, 1999-2000.
“Ecco, Eusebio era un caso differente. Lui, non avendo qualità tecniche eccelse, era un ragazzo predisposto al sacrificio come pochi altri se ne trovano. Lavorava tantissimo sul fisico e sulla corsa, qualità che poi si rivedevano in campo. Dava sempre tutto quello che aveva. E ora le stesse virtù le sta trasmettendo alla Roma. Ne parlavo l’altro giorno con Arrigo…”.
Il famoso Arrigo?
“Sì, sempre lui, Arrigo Sacchi. Lui stravede per Di Francesco come allenatore. Sia dal punto di vista tattico sia dal punto di vista comportamentale. Sta facendo un lavoro straordinario con semplicità senza alzare mai i toni. Non ce lo aspettavamo, almeno nei pronostici di inizio campionato”.
Sacchi, con cui lavorò a Madrid in quell’Atletico che sconfisse la Roma in Coppa UEFA.
“Ne facevo accenno prima. Lui ad un certo punto della stagione andò via, prima di incontrare la Roma di Zeman in Europa. La guida tecnica della squadra la prese Aguiar. Era giovane, ma scaltro. Fu molto bravo in quel doppio confronto, riuscì a sfruttare al meglio le debolezze dei giallorossi che si esponevano troppo in difesa con la linea alta a centrocampo. Gli mancava Kiko, il calciatore migliore della rosa perché infortunato. Lui puntò tutto sull’attaccante José
Mari, all’epoca giovanissimo, ed ebbe ragione”.
Nelle cronache dell’epoca si legge pure di un suo diverbio a fine partita all’Olimpico con Di Biagio.
“Ma, guardi, in realtà fu una ricostruzione giornalistica molto lontana dalla realtà. Io semplicemente esultai per il passaggio del turno della mia società, poi fu scritto tutto il resto, ma con Gigi non ho mai avuto problemi”.
Venendo all’attualità, al suo lavoro, s’è fatto un’idea del perché nel calcio di oggi ci si infortuna tanto ai legamenti crociati?
“È un argomento complesso e, secondo me, si sbaglia se si fa riferimento ai metodi di allenamento o cose del genere. Naturalmente, il calcio è cambiato, si giocano tantissime partite e la possibilità di recupero è sempre ridotta. Però per me c’ anche dell’altro, il problema parte dal basso, dalle radici…”.
Ovvero?
“Le abitudini di questi ragazzi, che negli ultimi vent’anni sono cambiate radicalmente. Ne faccio un discorso di vita. La mia generazione, e anche quelle successive, crescevano per strada. Negli oratori, nei parchi, tra i boschi, si correva e si camminava tanto e la struttura fisica ne beneficiava negli anni successivi. I calciatori che allenavo io trent’anni fa, vent’anni fa, erano anche bravi atleti. Prima di tutto giocatori di calcio, ma si sapevano pure disimpegnarsi in altri quattro o cinque sport di movimento. Ora tutto questo non esiste più, i bambini giocano meno all’aperto e di conseguenza, cambiano anche le caratteristiche del fisico. E mettiamoci pure che l’Italia non è un paese facile per fare attività fisica per carenza di
strutture. Dal campo di periferia fino allo stadio della Roma. Tutto è sempre molto complicato da fare. Inoltre, c’è pure un altro fatto da considerare…”.
Quale?
“Nei settori giovanili si allena troppo per vincere e non per preparare un ragazzo in vista della prima squadra. Comanda il risultato e questo può portare ad esasperare il resto. Sono discorsi che facciamo sempre in Federazione”.
Lei che carica ricopre esattamente in FIGC?
“Sono preparatore atletico per il Club Italia e da qualche tempo insegno scienze motorie all’università di Parma. È un lavoro che faccio con la stessa passione del primo giorno”.